BMW R80 G/S: innovazione e tradizione

Sulla scia del successo delle enduro giapponesi, la Casa tedesca entra in scena nel 1980 con l’originale G/S. Che in breve conquista molti appassionati diventando un simbolo per la categoria

C’è aria di rivoluzione ai vertici della BMW nell’autunno del 1978. Rudolf Graf von der Schulenburg, il potente direttore della BMW Motorrad GmbH - cioè la divisione moto della Casa di Monaco - consegna le sue dimissioni in aperto contrasto con i vertici dell’azienda. Da due anni sta cercando inutilmente di risollevare le sorti del settore moto che, al contrario di quello automobilistico, sta vivendo un momento di crisi sotto l’incalzare delle Case giapponesi, responsabili proprio in quegli anni del collasso dell’industria motociclistica britannica.

Nel 1978, 10 modelli in listino

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Sella rossa, colorazione bianco Alpenweiss con decorazioni blu: la R 80 G/S rompe i classici abbinamenti cromatici di casa BMW

La crisi non è facilmente percepibile: nel 1978 la BMW ha in listino dieci modelli - un record nella storia della Casa - e nell’anno precedente ha prodotto 31.515 motociclette, anche questo un record nei suoi 55 anni di vita. Nei suoi magazzini ci sono però in giacenza 8.000 motociclette, tre quarti delle quali destinate all’importantissimo mercato americano e buona parte dei dieci modelli in catalogo sono giunti in realtà quasi al capolinea.

Così alla fine del 1978 la decisione dei vertici dell’azienda di far costruire componentistica auto negli stabilimenti di Berlino-Spandau - dove è concentrata la produzione delle motociclette - viene interpretata da von der Schulenburg come un chiaro segnale di resa. Le sue dimissioni comportano inevitabilmente una riorganizzazione del personale, con l’arrivo di nuovi tecnici e dirigenti provenienti dal settore auto incaricati di rivitalizzare la gamma ormai non più al passo con i tempi. L’1 gennaio 1979 viene nominato a capo della BMW Motorrad GmbH il dottor Eberhardt Sarfert, membro del consiglio di amministrazione della BMW AG e responsabile del personale. L’ingegner Richard Heydenrich assume invece il ruolo di Direttore tecnico della produzione e dello sviluppo, mentre Karl Gerlinger diventa responsabile marketing e vendite. Saranno questi tre uomini gli artefici del rilancio motociclistico della BMW all’inizio degli anni Ottanta.

Debutto al Salone di Colonia del 1980

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Come sulla maggior parte delle BMW stradali, anche sulla G/S si possono montare due borse laterali costruite in materiale plastico. Si fissano al telaietto con uno sistema a sgancio rapido a scatto con serratura di sicurezza

Una rinascita che passa attraverso la presentazione ai Saloni di alcune concept bike che non avranno seguito nella produzione di serie come ad esempio la BMW Futuro, bicilindrica Turbo di 800 cc, ma anche su modelli che negli anni diventeranno dei veri best-seller della Casa tedesca. La R 80 G/S, assieme ai motori “a sogliola” a 4 cilindri della serie K, è uno di questi. Quando Sarfert si mette al timone della BMW Motorrad GmbH, i motociclisti sono appena stati contagiati dal Mal d’Africa e grazie alle prime edizioni della Parigi-Dakar, modelli da Enduro come la Yamaha XT 500 e la Honda XL500S si stanno ritagliando una discreta quota di mercato. Anche se la BMW non ha mai prodotto una moto da fuoristrada nonostante una lunga tradizione nel settore delle ruote artigliate (ad eccezione della R68 del 1952), a Monaco decidono che vale la pena tentare. Come abbiamo visto nel prologo gli stimoli non mancano perché alla Dakar si sono già viste in gara delle special su base BMW, come quella del francese Fenouil ad esempio, ma soprattutto fin dall’edizione della Sei Giorni 1973 (quella corsa negli USA), si sono viste in azione sui fettucciati della regolarità alcune special con motore di 750 cc maggiorato poi fino ad 871 cc. L’ultima versione di questa moto, portata in gara dal tedesco Schek, nasce nel 1978 da una collaborazione fra la BMW Motorsport GmbH (la divisione sportiva della Casa di Monaco) e l’italiana Laverda che ne cura la parte ciclistica. É proprio su questa ultima versione che si concentrano le attenzioni degli uomini di Heydenrich. Per vedere il primo risultato bisogna attendere il Salone di Colonia del 1980, quando nello stand della BMW fa bella mostra di sè la nuovissima R80 G/S. Il suo “papà” è l’ingegner Rüdiger Gutsche, uno degli uomini del team di Heydenrich. Sotto i riflettori a Colonia Pubblico ed addetti ai lavori restano spiazzati davanti alla nuova moto. Lo scudetto bicolore che fa capolino sul serbatoio non lascia dubbi sul fatto che si tratti di una BMW, ma tutto il resto sembra fuori posto. Le lettere G/S della sigla sono le abbreviazioni di Gelände/Strasse, ovvero Fuoristrada/Strada ed indicano la natura poliedrica di questa grossa bicilindrica votata agli sterrati poco impegnativi e ai lunghi trasferimenti autostradali. Da questo punto di vista niente di trascendentale, perché si tratta dell’essenza stessa delle moto da Enduro votate alla polivalenza e all’utilizzo a 360°.

Cilindrata inedita

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La novità è che se i giapponesi non avevano osato andare oltre i monocilindrici di 500 cc, la BMW gioca al rialzo. Anzi quasi al raddoppio, grazie al suo motore boxer di 797 cc capace di prestazioni su strada di tutto rispetto. In poche parole, sposta molto più in avanti il limite della categoria e da questo momento in poi se i giapponesi vogliono competere saranno costretti ad inseguire. Ma non è la cilindrata la sola arma a disposizione della G/S. Tutto il progetto si muove su un sottile equilibrio sintetizzato da due parole: innovazione e tradizione. Utilizzare cioè il meglio che si ha a disposizione dopo anni e anni di prove e collaudi ed abbinarlo a soluzioni tecniche ed estetiche innovative. Quindi se da un lato il bicilindrico è quello che già equipaggiava la R 80/7 del 1977, dall’altro la ciclistica può vantare il forcellone monobraccio con sospensione posteriore monoammortizzatore, una primizia assoluta su di una moto di grossa cilindrata. Vediamo quindi passo dopo passo l’abile mix che genera la R 80 G/S. Motore: si parte come detto da quello della R 80/7 che ha rimpiazzato nel 1977 la R 75/ 7, a sua volta discendente dalla R 75/6. Uno di quei modelli per intenderci che sono arrivati al capolinea. La cilindrata come si può intuire dalle sigle è lievitata nel corso degli anni di 52 cc e grazie all’ alesaggio di 84,8 mm ed alla corsa di 70.6 mm è arrivata a 797,5 cc. Il boxer della R 80 G/S viene comunque rivisitato. I cilindri hanno la canna con riporto in Galnical, un trattamento simile al Nikasil che diminuisce gli attriti e contiene notevolmente l’usura da strisciamento. Per rendere il motore ancora più docile ed in grado di digerire le benzine meno “nobili”, il rapporto di compressione passa da 9,2:1 a 8,2: 1 (peraltro anche la 80/7 può essere fornita con compressione di 8:1). Le modifiche non si fermano però qui. La frizione è dotata di un nuovo leveraggio che rende l’azionamento più morbido ed è stata alleggerita. Per il rapporto di trasmissione finale, si utilizza un 3,36:1, ovvero quello che viene fornito a richiesta sulla 80/7 (che di serie ha invece un 3,2:1). Proseguendo con le novità, troviamo l’accensione elettronica della Bosch che prende il posto delle puntine. Maggior costo, ma manutenzione nulla e scintilla più forte. Vi sono poi delle modifiche “minori” che però aiutano a raggiungere l’obiettivo: nuova scatola filtro in plastica dotata di sganci rapidi, carburatori Bing con differente taratura (e finalmente con la levetta dello starter sul manubrio e non a sinistra sotto il serbatoio) e impianto di scarico due in uno rialzato.

Telaio derivato da R 45 e R 65

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Rispetto al telaio della R 45 e R 65, quello della G/S vede l'avancorsa passare da 96 a 117 mm e l'interasse crescere da 1.390 a 1.495 mm. La parte posteriore viene poi modificata per accogliere il forcellone monobraccio

Telaio: la base di partenza è il robusto doppia culla chiusa utilizzato sulle stradali R 45 e R 65. Cambiano però i dati di avancorsa e interasse (si passa rispettivamente da 96 a 117 mm e da 1.390 a 1.495 mm). Ovviamente la parte posteriore viene modificata per adattarla al forcellone monobraccio con il monoammortizzatore della Bilstein. Per avere una posizione di guida ed un assetto più fuoristradistico l’attacco delle pedane è più arretrato e rialzato. Sospensioni: all’avantreno troviamo una forcella “made” in BMW che non brilla per efficienza e robustezza. Ha steli da 38,5 mm, è abbastanza morbida, è dotata di una sufficiente escursione (200 mm), ma viene subito messa in crisi dal freno a disco anteriore. Anche analizzandola internamente, la presenza di un solo misero paraolio per gambo dà più l’impressione di avere a che fare con una sospensione stradale che non da off-road. A risolvere parzialmente il problema dello “svergolamento” in frenata ci penserà successivamente un cavallotto applicato tra i due foderi. Al retrotreno invece la musica è diversa: pur mantenendo la trasmissione ad albero cardanico, è dotato di sospensione monobraccio denominata Monolever. Tale soluzione, al di là dell’evidente semplificazione in caso di smontaggio della ruota, fa risparmiare peso (7 kg) e aumenta del 30% la resistenza alla torsione rispetto alle soluzioni fino a quel momento in uso. Nuovo, in vista delle maggiori sollecitazioni a cui andrà incontro, il carter per la coppia conica. Come elemento ammortizzante troviamo infine un ammortizzatore Bilstein regolabile su tre posizioni di molla e con escursione di 170 mm. Freni: poche modifiche a questa voce. All’anteriore troviamo un disco da 264 mm con pinza Brembo a doppio pistoncino ed al posteriore un decoroso tamburo da 200 mm. Volendo si può richiedere il secondo disco perché il fodero sinistro della forcella è già dotato di appositi attacchi per la seconda pinza. Ruote: trattandosi di una moto da fuoristrada è tutto nuovo per una BMW. I cerchi sono della Akront in lega leggera: robusti e leggeri, il che non guasta visto che la riduzione di peso è uno degli elementi alla base del progetto. Per le misure, in sostituzione della classica formula 19” all’anteriore e 18” al posteriore, si opta per l’ormai affermata combinazione 21”-18”. Pneumatici: i tassellati “pesanti” influenzerebbero negativamente la guida su asfalto, mentre delle gomme prettamente stradali tarperebbero le velleità fuoristradistiche della motocicletta. Ecco allora venire incontro la Metzeler che per la R 80 G/S mette a punto un pneumatico destinato a diventare un classico ancora oggi apprezzato: l’Enduro, omologato fino a 180 km/h e buon compromesso nel doppio utilizzo sterrato/asfalto.

Dopo l’iniziale diffidenza, la nuova R 80 G/S diventa come già detto un best-seller fra i motociclisti. Molto è dovuto al ritorno d’immagine fornito dalle competizioni in Africa dove la BMW decide di impegnarsi ufficialmente a partire dal 1980. Le vittorie di Hubert Auriol e Gaston Rahier alla Parigi Dakar, il successo dello stesso Rahier al Rally dei Faraoni contribuiscono a far tirare le vendite della G/S che rimane pressoché immutata fino a metà degli anni Ottanta. Nel frattempo però i giapponesi si sono riorganizzati e hanno sfornato la seconda generazione di Enduro, tutte di 600 cc e proposte anche in versioni smaccatamente “dakariane”, munite cioè di maxi-serbatoio. A quel punto non sono più sufficienti dei semplici aggiornamenti estetici, come il serbatoio maggiorato della versione Parigi-Dakar. Così nel 1987 viene presentata la seconda versione chiamata R 100 GS, che rafforzerà ulteriormente il mito della G/S.

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