di Gualtiero Repossi - 12 April 2023

Yamaha FZ 750: classe superiore

Nel 1984 la Casa dei tre diapason fa il suo ingresso nel settore delle maxi a 4 tempi con una moto dalla forte personalità. Spinta da un sofisticato motore 4 cilindri con testa a 20 valvole, la FZ 750 è la capostipite di una famiglia di supersportive sul mercato per due decenni

“Anche se probabilmente non fanno la differenza, la Yamaha oggi non può rinunciare alle 20 valvole per una questione di marketing. Con le dovute proporzioni è come se noi abbandonassimo di colpo il Desmo: sarebbe un rischio troppo grosso, da affrontare solo disponendo di una validissima alternativa da proporre al pubblico”.

Questo commento, fatto nel 2005 “a microfoni spenti” da un importante dirigente della Ducati, riflette meglio di ogni altro l’impressione generale di pubblico e addetti ai lavori riguardo alla scelta tecnica della Yamaha per i suoi motori supersportivi fra gli anni Ottanta e il nuovo millennio: ovvero la distribuzione bialbero con testa a cinque valvole per cilindro (tre di aspirazione e due di scarico), che ha fatto il suo debutto con la FZ 750 al Salone di Colonia del 1984, diventando nei vent’anni successivi il marchio di fabbrica delle supersportive di Iwata.

Eppure, all’epoca della sua presentazione, la celebre testa a cinque valvole era stata descritta come l’arma vincente della Casa giapponese nei confronti della concorrenza e non l’inutile complicazione tecnica dipinta in seguito dai suoi detrattori.

All’inizio degli anni Ottanta la Yamaha non si era ancora impegnata attivamente nel mercato delle supersportive come invece stavano facendo Honda, Kawasaki e Suzuki. Dopo aver perso negli anni Settanta il treno delle maxi-moto per via della tranquilla XS 650 e vivacchiato all’inizio della decade successiva con la serie delle pluricilindriche a cardano, c’era stata la svolta con la RD 500 LC - replica quasi fedele delle sue mezzo litro da GP - ma sul fronte delle quattro tempi la Yamaha si era fermata alla FJ 1100, un’ottima moto ma dall’impostazione turistica e con un motore bialbero raffreddato ad aria legato a schemi tecnici ormai superati.

Per colmare il gap con la concorrenza occorreva qualcosa di veramente nuovo e la FZ 750 in questo ha assolto egregiamente il compito assegnatole.

Il progetto inizia a fine degli anni Settanta

Il suo progetto ha una gestazione piuttosto lunga: nasce infatti alla fine degli anni Settanta con il nome in codice 064. La sigla nasconde un ambizioso programma sportivo che prevede la realizzazione di 200 moto da competizione - il numero minimo per ottenere l’omologazione da parte della FIM - con cui vincere la Otto Ore di Suzuka e la 200 Miglia di Daytona per dimostrare che la Yamaha è in grado di costruire delle ottime moto da corsa anche a 4 tempi.

Già nel 1977, al Salone di Tokyo, era stata presentata una moto che sfruttava la ciclistica della 0W31 750 da GP in cui era stato inserito un inedito V4 di 1.000 cc. Doveva essere la moto per il debutto a 4 tempi nelle corse, ma poi del prototipo si perdono le tracce ancora prima di vederlo scendere in pista, mentre nel Reparto corse Yamaha prende vita il progetto numero 064 che identifica invece una rivoluzionaria 4 cilindri in linea bialbero.

Questo è l’embrione della FZ 750, che però cambia natura dopo la realizzazione dei primi disegni perché i vertici dell’azienda decidono di trasformare quella che doveva essere una moto da corsa a tiratura limitata - come le celebri TZ - nella maxi di successo finita sotto i riflettori della stampa mondiale a Colonia nel 1984.

Oltre alla distribuzione con 20 valvole, scelte per ottimizzare il riempimento delle camere di scoppio a tutti i regimi ed avere così un motore con una potenza specifica elevata ma “pieno” anche in basso, il suo 4 cilindri ha numerose altre peculiarità.

Nonostante il raffreddamento a liquido è molto compatto - addirittura più stretto di 9 cm rispetto al motore della Yamaha XS400 ad aria - ha la bancata inclinata in avanti di 45° per abbassarne il baricentro e le canne riportate a secco con un sistema che consente un miglior raffreddamento nella zona della camera di scoppio. I carburatori, montati verticalmente sopra i cilindri nella zona immediatamente retrostante il cannotto di sterzo, permettono di avere condotti di aspirazione perfettamente rettilinei e verticali che facilitano il flusso dei gas freschi nella camera di scoppio. La frizione invece - una rarità per l’epoca - ha il comando idraulico, mentre per contenere la larghezza del motore i pick-up dell’accensione elettronica sono posizionati ai lati dell’albero motore - sollecitati da due tacche ricavate sulle spalle dell’albero stesso - e l’alternatore è piazzato dietro al blocco cilindri.

Potente ma con tanta coppia ai bassi regimi

Come era nelle intenzioni dei suoi progettisti, l’FZ 750 è potentissima (100 CV a 10.750 giri) ma ha anche un tiro irresistibile già ai bassi regimi e può spingere la nuova Yamaha oltre la barriera dei 230 km/h (231,4 per l’esattezza, come rilevato dalla prova della rivista Motociclismo, valore ottenuto con il pilota abbassato), rimanendo al tempo stesso abbastanza contenuto nei consumi.

La sofisticazione tecnica del suo motore va di pari passo con le soluzioni adottate per la sua ciclistica e la distribuzione dei pesi, che introducono concetti cari al mondo dei GP dei primi anni Ottanta. Il 4 cilindri è montato molto in basso e in avanti per abbassare il baricentro e spostare il carico sull’avantreno. Per lo stesso motivo il serbatoio del carburante ha uno sviluppo a “pozzo”: la sua parte anteriore nasconde semplicemente la scatola del filtro aria, mentre la benzina è alloggiata poco sopra la zona posteriore del basamento motore.

Il telaio è un doppia culla in tubi d’acciaio a sezione rettangolare con una geometria di sterzo molto chiusa: inclinazione del cannotto di 25°30’ e avancorsa di 94 mm. Anche ruote e sospensioni seguono i dettami delle competizioni di quegli anni e prevedono una piccola ruota da 16” all’anteriore, con canale piuttosto largo per ospitare un pneumatico radiale dal profilo ribassato, accoppiata a una da 18” al posteriore. La forcella Kayaba con steli da 39 mm ha un sistema antiaffondamento dotato di un circuito idraulico specifico ed è indipendente dall’impianto frenante, mentre il forcellone in lega leggera a sezione rettangolare lavora con un monoammortizzatore teleidraulico pluriregolabile tipo De Carbon.

La scelta dell’acciaio anziché dell’alluminio per la realizzazione del telaio - come in quegli anni fa ad esempio la Suzuki sulla sua sportivissima GSX-R 750 - consente di inquadrare il primo neo del progetto: anche se si guida con estrema facilità e il suo motore è capace di prestazioni da riferimento, l’FZ 750 non è affatto una moto leggera. I 209 kg a secco dichiarati dalla Casa sono lontanissimi dalla realtà, dato che nel corso della prova di Motociclismo la sportivissima di Iwata fa registrare sulla bilancia la bellezza di 230 kg (sempre a secco). Sembra quasi che i tecnici, totalmente assorbiti dallo sviluppo di un motore così performante, abbiano trascurato altri particolari importanti della moto, utili non solo a migliorarne l’equilibrio e le prestazioni ma anche per risparmiare peso.

Un esempio è dato dal massiccio impianto di scarico 4 in 2, composto da otto pezzi e dai lunghi silenziatori realizzati in lamiera uniti con un compensatore, esteticamente poco aggressivo e con una soprendente tendenza a marcire con facilità.

E che dire dell’impianto frenante? È composto da una terna di dischi autoventilanti da appena 235 mm, identici su entrambe le ruote (cambia solo lo spessore fra anteriore e posteriore) e serviti da pinze fisse a doppio pistoncino. Tutto materiale già utilizzato sulle precedenti e più tranquille Yamaha XJ900 e FJ1100, moto altrettanto pesanti ma dalle prestazioni decisamente inferiori rispetto alla nuova arrivata.

Il secondo neo riguarda invece la veste estetica dell’FZ 750, decisamente originale ma che non a tutti è gradita. A differenza di quanto avviene oggi nell’agonizzante mercato (dal punto di vista delle vendite) delle maxi-sportive stradali, dove le moto giapponesi si somigliano tutte fra loro per canoni estetici e dettami tecnici risultando quasi anonime, a metà degli anni Ottanta ognuna di esse aveva una spiccata personalità che la distingueva dalle rivali.

Impossibile quindi confondere la Yamaha FZ 750 dalla Kawasaki GPz 900 R, oppure dalla Suzuki GSX-R 750 e dalle Honda VF 1000R e VFR750F che le contendevano i favori dell’utenza più sportiva. La linea della FZ è squilibrata verso l’avantreno, dominato da un originale faro rettangolare di stampo automobilistico, inserito in un cupolino dal plexiglass poco protettivo che termina all’altezza del serbatoio e lascia volutamente in vista il motore. Il retrotreno invece è molto più stretto e raccolto: i due fianchetti laterali si riuniscono attorno a un piccolo faro rettangolare, mentre la sella è dotata di un “guscio” facilmente asportabile per trasformarla velocemente da monoposto a biposto e viceversa.

Il risultato finale è originale, ma come abbiamo anticipato non soddisfa tutti. Così come non soddisfano i quasi dieci milioni di lire necessari per averla a disposizione su strada.

La maxi più costosa del mercato

Al momento della sua commercializzazione in Italia, nella primavera del 1985, la Yamaha FZ 750 è assieme alla Suzuki GSX-R 750 la maxi più costosa sul mercato. Si vende bene ma non benissimo, forse perché i motociclisti temono che un motore così sofisticato e potente sia anche poco affidabile e dopo appena una stagione viene subita sottoposta ad un restyling che interessa soprattutto l’estetica della moto grazie a nuove colorazioni, un puntale, il tappo del serbatoio incassato di tipo aeronautico e un orribile maniglione per il passeggero.

Con le successive versioni invece inizia progressivamente la sua metamorfosi: da supersportiva in sport-tourer, perché nel frattempo - soprattutto dopo la nascita del Mondiale Superbike nel 1988 - il settore si estremizza portando alla realizzazione di vere e proprie moto da corsa targate. L’FZ 750 guadagna così uno scarico 4 in 1 più aggressivo (e di miglior qualità), nuovi cerchi (gli stessi della FZR1000 con l’anteriore da 17” anziché da 16” e la posteriore con il canale più largo), nuove pinze e dischi freno e una estesa carenatura che ne nasconde il motore. Con l’introduzione del 4 in 1, nel 1987, il motore riceve anche pistoni, spinotti e fasce elastiche alleggerite del 13% e guadagna una manciata di CV grazie anche a un nuovo diagramma di distribuzione. Sono gli unici interventi al 4 cilindri nel corso della sua carriera durante la quale, prima di trasformarsi in sport-tourer e di lasciare spazio in pista alla più specialistica 0W01 a partire dal 1989, l’FZ 750 è protagonista di una breve parentesi sportiva in cui raccoglie ottimi risultati, raggiungendo se vogliamo anche gli obiettivi del progetto originario 064 con cui era nata.

Nel 1986 Eddie Lawson conquista la 200 Miglia di Daytona, mentre grazie agli australiani Michael Dowson e Kevin Magee una FZ “kittata” chiude al secondo posto la 8 Ore di Suzuka dello stesso anno tenendo testa alle Honda RVF750 ufficiali schierate dall’HRC. Infine, nel 1988, Fabrizio Pirovano chiude al secondo posto la prima edizione del Mondiale Superbike e al terzo il Campionato italiano della categoria.

Con qualche altro piccolo intervento che va ad interessare ancora l’estetica della moto, la Yamaha FZ 750 esce di scena all’inizio degli anni Novanta dopo una produzione complessiva di 39.000 unità nelle diverse versioni in cui è stata proposta al pubblico. Il suo quattro cilindri invece è il capostipite di tutta la serie successiva FZR1000 che fra la fine degli anni Ottanta e i Novanta permette alla Casa di Iwata di essere protagonista nel mercato delle supersportive, mentre i suoi concetti si ritrovano anche nei motori della serie YZF750 e in quelli R1. La distribuzione a venti valvole infatti “resiste” fino al 2006, ma se all’inizio della sua carriera veniva portata come esempio di raffinatezza ed esclusività meccanica, vede progressivamente ridursi l’interesse nei suoi confronti fino ad arrivare a metterne in dubbio la sua effettiva utilità.

Dopotutto, se la testa con cinque valvole per cilindro è così efficace, perché nessuno altro costruttore giapponese ha pensato di adottarle sui suoi 4 cilindri supersportivi? Probabilmente perché il vantaggio offerto a metà degli anni Ottanta nell’ottimizzare il riempimento delle camere di scoppio a tutti i regimi è stato raggiunto in seguito anche con normali teste a quattro valvole, studiando la conformazione ottimale delle camere, la forma e i materiali delle valvole dei motori tradizionali e rendendo quindi superflua quella valvola in più.

Dopotutto, come ricordava sempre Colin Chapman, l’indimenticabile fondatore della Lotus di F1: “quello che non c’è in un motore non si rompe. E lo fa pesare di meno...”

La Yamaha comunque continua a credere alle venti valvole fino al nuovo millennio, quando fa debuttare sulla sportivissima R1 un nuovo 4 cilindri con “solo” 16 valvole come la concorrenza, contraddicendo il dirigente Ducati che ipotizzava l’uscita di scena delle 20 valvole solo in presenza di una valida alternativa in termini di originalità per soddisfare il marketing.

Questa arriva poco più di due anni dopo con la presentazione della R1 “Big Bang”, ovvero una moto con il motore dotato di fasatura a scoppi irregolari. La nuova scelta tecnica è dettata dalla necessità di avere una migliore risposta del motore in uscita di curva, grazie a una notevole spinta ai bassi e medi regimi e l’ausilio di moderni apparati elettronici (l’attuale R1 può vantare l’acceleratore elettronico “ride by wire”, diverse mappature per il motore e il controllo di trazione). Purtroppo, il quattro cilindri “Big Bang” necessita però di un albero motore con disposizione a croce dei piedi di biella più pesante di uno tradizionale, che contribuisce ad aumentare il peso della moto sopra la media delle avversarie (199 kg la versione 2012).

Se confrontiamo l’FZ 750 del 1984 con la R1 “Big Bang” del 2009 ci troviamo quindi di fronte a due modelli simili nell’impostazione: entrambi i loro motori cercano il tiro in basso di cui difettano tradizionalmente i 4 cilindri; entrambe le moto sono più pesanti delle rivali, ma tutte e due possono vantare una soluzione tecnica esclusiva per il loro motore. Se poi questa sia dettata da una reale necessità o da questioni di immagine è un dilemma attuale oggi come quasi trent’anni fa.

Abbiamo aperto il nostro articolo con una dichiarazione a “microfoni spenti” e vogliamo concluderlo con un’altra simile, fatta questa volta nel 2009 da un tecnico Yamaha da anni al lavoro sui motori R1 in versione Superbike che ci lascia con il dubbio che a spingere verso certe decisioni sia comunque sempre il marketing:“A volte le scelte della Yamaha sono inspiegabili. Hanno impiegato più di vent’anni per liberarsi del motore a 20 valvole e adesso, dopo appena un paio di stagioni normali con un bel motore, vanno a complicarsi la vita senza motivo con il Big Bang per scimmiottare la MotoGP”.

CARATTERISTICHE TECNICHE

Motore: quattro cilindri in linea frontemarcia inclinati in avanti di 45°, quattro tempi, raffreddamento ad acqua. Testa e cilindri in lega leggera con canne riportate in ghisa. Distribuzione a doppio albero a camme in testa comandata da catena, cinque valvole per cilindro (diametro valvole di aspirazione: 20,9 e 21,1 mm; diametro valvole di scarico 22,9 e 23,1 mm). Alesaggio per corsa68x51,6 mm. Cilindrata 749 cc. Rapporto di compressione 11,2:1. Lubrificazione: a carter umido con pompa trocoidale di mandata e recupero. Capacità coppa: 3 kg. Alimentazione: quattro carburatori Mikuni BDS 34 da 34 mm. Getto max 105, getto minimo 37,5, starter 65, polverizzatore Y-2, vite aria aperta di 2 giri, spillo conico 5CEZ1 alla terza tacca. Capacità serbatoio carburante: 22 litri di cui 4 di riserva. Accensione: elettronica Nippon Denso B3G. Candele NGK DR8ES-L o Nippon Denso X24ESR-U. Impianto elettrico: a 12 V, con alternatore Nippon Denso B3G da 440 W.

Avviamento: elettrico Mitsuba SM-8 da 0,6 Kw Frizione: multi disco in bagno d’olio, con molla a spirale e comando idraulico. Otto dischi conduttori e sette condotti, con guarnizioni d’attrito in sughero/acciaio. Cambio: a sei rapporti con innesti frontali. Valori interni: 2,846 in prima (37/13), 2,188 in seconda (35/16), 1,778 in terza (32/18), 1,500 in quarta (30/20), 1,273 in quinta (28/22), 1,083 in sesta (26/24). Trasmissione: primaria ad ingranaggi a denti dritti, rapporto 1,986 (91/48). Rapporti totali nelle varie marce:2,846 in prima, 2,188 in seconda, 1,778 in terza 1,500 in quarta 1,273 in quinta e 1,083 in sesta. Finale a catena, rapporto 2,750 (44/16). Telaio: doppia culla chiusa in tubi d’acciaio a sezione rettangolare. Inclinazione cannotto di sterzo 25°30’, avancorsa 94 mm. Sospensioni: anteriore forcella Kayaba oleopneumatica con steli da 39 mm. Capacità olio per stelo 408 cc Escursione 140 mm. Posteriore: forcellone oscillante in lega leggera a sezione rettangolare con monoammortizzatore Yamaha tipo De Carbon, escursione 120 mm. Freni: anteriore a doppio disco auto ventilanti da 235 mm (spessore 7,5 mm) con pinze a doppio pistoncino; posteriore a disco auto ventilante da 235 mm (spessore 8,5 mm) con pinza a doppio pistoncino.

Ruote: a razze in lega leggera, anteriore MT 2.75-16 e posteriore 3.00-18. Pneumatici: anteriore 120/80-V16, posteriore 130/80-V18. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza max 2.295, interasse 1.485, larghezza massima 755, altezza massima 1.165 , altezza sella 790, luce a terra 160. Peso a secco 230 kg (anteriore 113 kg, posteriore 117 kg).

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