a cura della redazione
02 September 2018

Rivoluzione tedesca, BMW K 100

250 miliardi di lire investiti in 5 anni, uno staff di oltre 100 persone tra ingegneri, tecnici, operai specializzati e collaudatori, centinaia di contatti e collaborazioni con le migliori ditte del settore. Questi gli impressionanti numeri della prima 4 cilindri BMW; ripercorriamone la storia
1/21 BMW K 100 1000 1983
Il 1983 è un anno di quelli che si ricordano in casa BMW. Ricorre infatti il 60° dalla presentazione della prima moto, la celebre boxer R32, e, secondo avvenimento non meno importante, viene messa in vendita la prima 4 cilindri prodotta in serie. A trentacinque anni di distanza ci si è scordati dell’attesa trepidante e dell’emozione che suscitò questa moto, che passerà alla storia come K 100. Quando nell’estate del 1983, dopo che se ne parlava già da almeno cinque anni, iniziano a circolare le prime fotografie della nuova moto tedesca, l’attesa diventa spasmodica. Motociclismo riesce a fare lo scoop, dedicando alla nuova BMW la copertina del numero di luglio 1983 dove poche ma nitide foto “rubate” mostrano le caratteristiche principali della pluricilindrica bavarese. “Clamoroso! La BMW a 3 e 4 cilindri”, troneggia come titolo sopra la foto di copertina. Sì, perché già che c’era, la BMW ha messo allo studio due moto strettamente imparentate, ma nello stesso momento differenti come obiettivi di vendita e indirizzo di clientela. Comunque al momento quella che interessa di più è la quattro, che entro settembre verrà prodotta in serie nella cilindrata piena di 1.000 cc. Per la 3 cilindri, che sarà una 750, bisognerà invece attendere un paio d’anni.

La prima BMW 4 cilindri

Ma come mai tanto scalpore per un modello, d’accordo completamente nuovo, ma comunque prodotto da una fabbrica che alla fin fine ha come scopo vitale proprio il costruire motociclette? Per una ragione molto chiara: per la prima volta nella sua storia la BMW offre una moto a 4 cilindri, dopo 60 anni condivisi tra apprezzate ma scontate bicilindriche boxer e robuste monocilindriche. Non bastassero tali considerazioni “storico-culturali”, la K 100 è una moto assolutamente particolare, con una struttura meccanica che non ha confronti nella intera produzione motociclistica mondiale, soprattutto perché la sua tecnologia è grandemente prelevata dal settore auto. Il suo motore, definito “a sogliola”, ha sì 4 cilindri, come tante altre concorrenti, ma nessuna di queste li ha disposti come lei, in orizzontale coricati di 90° sulla sinistra rispetto al senso di marcia. Il telaio è a traliccio, anche questa un’esclusiva per la BMW, col motore a funzione portante, mentre il monobraccio posteriore col monoammortizzatore ha la ruota a sbalzo, soluzione ormai collaudatissima grazie alla R 80 G/S. Ce n’è di che per far restare a bocca aperta ogni appassionato di meccanica!

Un vero "ben di dio" di tecnica

Le innovazioni portate dalla K 100 diventano infatti argomento di vivaci discussioni tra i “vecchi” biemvuisti, per alcuni dei quali la moto è un tradimento alla tradizione. Ma per un’altra parte, molto più vasta, e comprendente anche tanti che fino a quel momento hanno ignorato le BMW proprio per il loro boxer, la K 100 è una meraviglia, un vero “ben di dio” della tecnica moderna. Questa l’atmosfera che si respira nel 1983 e che ben ricorderà chi viveva quegli anni da motociclista appassionato e praticante. Per quanto riguarda il ventilato “tradimento” alla sua storia, a calmare gli spiriti pensò la stessa Casa di Monaco che, rassicurando la clientela più tradizionalista, dichiarò subito che la 4 cilindri non avrebbe mai sostituito le bicilindriche, le quali anzi sarebbero state sviluppate ancora per gli anni a venire.

Nello stesso momento però conferiva un’importanza fondamentale alla nuova moto, svelando i retroscena della sua genesi, le difficoltà incontrate per metterla a punto e il grande sforzo, umano ed economico, che si era sobbarcata. Le cifre erano impressionanti: oltre 250 miliardi di lire il costo del progetto, uno staff tecnico superiore a 100 persone, più di 5 anni di studi e prove per arrivare al risultato, e la creazione, nello stabilimento di Berlino Spandau, di un modernissimo reparto per la costruzione della serie K, da subito prevista in due serie a 3 e 4 cilindri.

Non tutte le ciambelle escono con il buco

Se il varo del progetto siglato K 589 (anche abbreviato in K 5), e che porterà alla K 100, avviene nel 1977, bisogna però andare più indietro nel tempo per trovare le motivazioni che spingono la BMW alla decisione di uscire dai suoi noti schemi ed avventurarsi su strade per lei inesplorate. Dopo la grave crisi del mercato motociclistico della metà degli anni Sessanta, periodo in cui a Monaco si era perfino pensato di interrompere definitivamente la produzione di moto per concentrarsi su quella automobilistica, all’inizio del decennio successivo si riprende invece con rinnovato vigore, rivedendo ed ampliando la gamma delle boxer, ma anche considerando la necessità di offrire moderni ed allettanti progetti al fine di contrastare la marea di novità incombenti da oriente. Allora si presero in considerazione varie eventualità: da uno 4 cilindri sui 1.200/1.500 cc a V larghissimo (168°) ideato nel 1974 sfruttando alcuni componenti dei motori automobilistici in contemporanea produzione, ad un boxer di grossa cilindrata con alberi a camme in testa comandati da alberi a coppie coniche sistemati sotto ai cilindri (progetto M 247), ad una variante monoalbero con distribuzione guidata da cinghie dentate e contralbero antivibrazione (M 79, anno 1978). Ma questi progetti furono tutti archiviati, sia per i costi che si prospettavano esagerati, sia per la complessità meccanica. Anche un 4 cilindri boxer di 1.000 cc venne considerato e poi scartato perché battuti sul tempo dalla Honda, che aveva presentato la Gold Wing 1000 con quello stesso schema motoristico. Altre ardite soluzioni furono invece accarezzate, ma subito scartate, come quella di un 4 cilindri boxer ad H, in pratica due motori sovrapposti. È a questo punto che entra in gioco una figura chiave del progetto K 5, l’ing. Josef Fritzenwenger che ha un’idea inedita in campo motociclistico: sistemare orizzontalmente e longitudinalmente nel telaio un 4 cilindri in linea. In questo modo, tra l’altro, la BMW poteva dirsi rispettosa almeno in parte della tradizione, perché i cilindri erano comunque orizzontali, proprio come nel suo boxer. L’idea presentava inoltre evidenti vantaggi: baricentro basso, ingombro trasversale ridotto, straordinaria accessibilità meccanica.

Gli studi sulle auto

Per i primissimi studi, venne impiegato un 4 cilindri Peugeot di 950 cc utilizzato sulla 104, un’utilitaria allora di buon successo, unito con apposita flangia ad un gruppo cambio-trasmissione della R 100, ed il tutto poi trasferito in un telaio a doppia culla della stessa moto, appositamente modificato. La scelta di questo motore non fu casuale, perché già sulla Peugeot il 4 cilindri era montato quasi orizzontalmente, il che facilitava l’abbinamento alla trasmissione della R 100. Inoltre era un propulsore leggero, quasi tutto in alluminio come si usa sulle moto, e grazie al fatto di presentare l’alimentazione in alto e lo scarico in basso si eliminavano in partenza problemi e perdite di tempo nella ricerca per la disposizione ottimale di questi organi. A parte una notevole lunghezza, data dal matrimonio improvvisato tra motore-ciclistica, gli esperimenti e le prove su strada si dimostrarono incoraggianti, convincendo la dirigenza della Casa che la via intrapresa poteva rivelarsi fruttuosa. Scartata l’idea di una cilindrata sui 1.300 cc, si decise che la nuova moto sarebbe stata prodotta con motori di 800/1.000 cc, prevedendo possibili maggiorazioni. Questa infatti era la fascia in cui principalmente si riconosceva la clientela BMW, ma la modernità e l’esclusività delle soluzioni tecniche avrebbero senz’altro attirato molti altri possibili acquirenti. Il 20 febbraio 1979 prendeva il via il progetto K 5, dove K sta per Kompact, in quanto uno degli obiettivi primari è proprio la compattezza, ed in effetti motore, trasmissione e monobraccio con l’ammortizzatore formano un’unità portante di granitica rigidità (BMW Compact Drive System). A capo dei lavori c’è Martin Probst, autore con Paul Rosche dell’allora imbattibile motore montato sulle monoposto di F. 2. Tra le incombenze iniziali, anche lo studio della componentistica che avrebbe equipaggiato la moto. Furono contattate ben 650 ditte specializzate fuori e dentro la Germania, al fine di utilizzare il meglio di quanto disponibile sul mercato. E, tra le priorità al fine di evitare copiature o... ispirazioni da parte di Case rivali, vennero depositati tutti i brevetti relativi alla struttura e alla particolare conformazione di motore e trasmissione.

Test durissimi

Il 18 agosto 1980, il primo prototipo del 4 cilindri venne messo al banco ed avviato. Il raffreddamento, scelto a liquido visti sia l’orientamento dei desideri della clientela internazionale, che richiedeva maggior silenziosità rispetto al passato, sia le necessità di quel motore, che si voleva il più possibile ecologico nelle emissioni, si rivelò subito ottimale, mentre problemi vennero dalla carente lubrificazione e dalla conformazione dei condotti di aspirazione e scarico, che furono disegnati e ridisegnati molte volte. Lo stesso per la camera di scoppio, ed anche l’iniezione, per la quale si scelse come partner la Bosch, non fu di facile messa a punto. Molte ricerche ed esperimenti richiesero anche i collettori di scarico e le marmitte, per le quali, anche nel desiderio di mettere in strada il motore il più presto possibile, si testò anche l’improbabile soluzione di due marmitte sovrapposte.
Altri problemi, meno gravi ma non meno importanti, vennero dai componenti in gomma interni del motore (parastrappi e paraolio) per i quali si dovettero studiare apposite miscele di gomma sintetica resistente a calore e corrosione. Il motore venne lasciato girare al banco per centinaia di ore, sottoponendolo a prove estreme di resistenza, e cercando volutamente limiti e punti di rottura. Ad esempio, per simulare le reazioni di contrattura dei metalli del monoblocco ai repentini cambi di temperatura, si arrivò ad introdurre acqua gelata nel basamento dopo averlo scaldato a temperatura di funzionamento. Il primo prototipo della moto aveva la testata a destra in direzione di marcia, ma problemi di spazio e interferenza dei collettori di scarico e della marmitta con l’albero di trasmissione suggerirono di girare il motore sul telaio. Alla fine, con una potenza volutamente contenuta di 90 CV ad oltre 7.000 giri, un paio di motori-prototipo furono montati su altrettante moto ancora “acerbe” in tutto, e con esse i collaudatori coprirono oltre 60.000 km nell’autunno del 1981.

Si affinano i modelli per la produzione di serie

Dai probanti test arrivarono molte informazioni, ed altrettante furono le modifiche necessarie, finchè, nel gennaio del 1982, tre nuovi prototipi vennero portati a Nardò (in Puglia) sull’anello di velocità, dove girarono giorno e notte alla massima velocità, fino a coprire gli oltre 30.000 km programmati. I risultati furono confortanti: da risolvere ancora alcune perdite di olio e problemi all’iniezione. Altri prototipi furono approntati e i test proseguirono su strada aperta in ogni condizione di guida e di meteo. Nell’ottobre 1982, le K 100 prototipo furono ancora a Nardò per provare nuove soluzioni che sarebbero poi state applicate alla serie. Ad esempio le fusioni dei motori, finora in terra, passavano alla conchiglia ed alla pressofusione, come sarebbero state sulle moto in produzione. A Nardò i test andarono globalmente meglio rispetto alla prima volta, e così anche per le programmate prove su strada a Creta e in Baviera al fine di testare le moto nel gelido inverno tedesco e nel tepore dell’isola mediterranea. Il 2 maggio 1983, 25 esemplari di pre-serie scesero dalla catena di montaggio per nuovi test. Da queste definitive prove su strada si sarebbero ottenute le ultime fondamentali informazioni, meno tecniche delle precedenti, ma non meno interessanti. Ad esempio si scelsero i colori della carrozzeria, si migliorò l’imbottitura della sella, si riscontrarono e rimediarono piccoli difetti della componentistica (come l’imprecisione dell’indicatore carburante), e si dovette affrontare il problema, finora sottovalutato, delle vibrazioni che mandavano in tilt la centralina elettronica sistemata nel codino. Per questo tutta la parte posteriore fu isolata montandola su silent-bloc, risolvendo così anche le già denunciate incrinature della plastica del fanale posteriore. Sempre le vibrazioni, questa volta propagantesi al manubrio, richiesero il montaggio di contrappesi calibrati all’estremità delle manopole, e si decise di isolare elasticamente il manubrio.

Lo studio della ciclistica

Se finora abbiamo detto dello sviluppo del motore, non meno la ciclistica impegnò lo staff addetto, diretto da Gunter Schier. Subito fece presa l’idea di disegnare un telaio a traliccio in tubi con motore portante, anziché il classico doppia culla, con la struttura in due blocchi facilmente separabili, sia per una costruzione più economica, sia per rispettare uno dei capisaldi progettuali di disporre gli organi meccanici nella posizione di massima accessibilità. Anche nello studio della misura delle ruote, nonché per la taratura delle sospensioni, si tenne fede alle regole iniziali, preferendo una forcella ed un monoammortizzatore semplici e senza regolazioni (a parte il precarico dell’ammortizzatore posteriore), perché, sosteneva l’ing. Schier “è compito del Costruttore e non del pilota tarare correttamente la moto per ogni circostanza”. Contemporaneamente si procedeva sul fronte della linea con arditi disegni ad opera di Klaus Volker Gevert, al quale va la brillante soluzione della copertura del radiatore con una mascherina (a doppio rene) che ricorda quella delle auto BMW. Non mancarono studi nella galleria del vento al fine di trovare le migliori soluzioni aerodinamiche in compromesso con esigenze di industrializzazione ed estetiche. Soprattutto queste prove si rivelarono impegnative per le versioni carenate RS, sportiva, ed RT, turistica, che furono programmate fin dall’inizio. Ad ogni modo fu la versione nuda, denominata K 100 1000, la prima ad essere presentata e venduta sul mercato.

Straordinario il computo dei chilometri percorsi prima che, nell’estate del 1983, si desse il via libera alla produzione: 600.000 km in ogni condizione di marcia! Curiosamente i primissimi esemplari scesi già in luglio/agosto dalla catena di montaggio vennero inviati negli USA per la realizzazione dei depliant pubblicitari. La location scelta per il debutto europeo fu La Napoule, in Costa Azzurra, dove il 23/24 settembre 1983 i giornalisti della stampa specializzata internazionale furono convocati per i primi giri di prova sugli affascinanti percorsi dell’entroterra. Poco dopo la K 100 divenne la regina del Salone di Parigi, proprio come 60 anni prima la sua... “nonna”, la boxer R 32 di 500 cc. Secondo le entusiastiche dichiarazioni di Eberhard Sarfert, Presidente della BMW Motorrad, nel 1983 la produzione della K 100, iniziata già a luglio, sarebbe arrivata ad un totale di 7.500 unità (contro 21.500 boxer). Ma già per il 1984, anche grazie all’entrata in linea della RT, oltre alla RS che aveva iniziato la sua carriera a novembre dell’anno prima, si pensava di costruirne 16.000. Numeri importanti che fanno capire quanto la Casa credesse nel nuovo programma. E infatti, negli anni a venire, la K 100 si rivelerà una buona moto, comoda e indistruttibile, forse un po’ troppo... teutonica per il nostro mercato, e per questo costantemente meno richiesta sia riguardo alla RS che alla RT, nonostante il suo prezzo inferiore. Così la sua vita sarà più breve rispetto alle due sorelle, solo sei anni, uscendo di produzione nel 1990 dopo 12.871 esemplari costruiti, e non conoscendo una seconda giovinezza grazie al nuovo motore a 16 valvole che esordì quell’anno con la sportiva K 1, prima di essere montato anche sulle RS ed RT. Relativamente invece alle modifiche introdotte sulla K 100 “nuda”, nel 1988 sono riviste l’estetica e gli schemi di colorazione: si adotta il serbatoio più piccolo e slanciato della K 75, spariscono il cockpit che collega fanale e strumentazione e la mascherina del radiatore, si adottano un faro cromato, una sella più bassa e un manubrio più alto e largo. Da ricordare infine che già nel 1986, la K 100 potè vantarsi di essere una delle prime moto al mondo a montare il sistema antibloccaggo dei freni ABS (in opzional, anche per le versioni RS ed RT).
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