Sarebbe una gran bella collezione a tema, quella ad avere come soggetto le monocilindriche scrambler costruite nel periodo degli anni Sessanta/Settanta. Una collezione che spazierebbe su modelli provenienti da quelli che allora, motociclisticamente parlando, erano i Paesi più importanti: Gran Bretagna, Italia e Giappone. Ultime, ma prime per praticità ed affidabilità, con la lucente
Yamaha XT 500 del 1975, antesignana anche rispetto alle successive Honda XL e Suzuki DR, le giapponesi hanno avuto il merito di riscoprire e ridare lustro ad una tipologia di moto che era stata tra le più amate solo pochi anni prima. Le "tuttoterreno" sono cadute abbastanza rapidamente in disgrazia per l'avvento delle maxi stradali, ancora giapponesi, e delle Regolarità specialistiche, di cui noi italiani, insieme a tedeschi ed austriaci, eravamo i maestri. A fianco delle enduro del Sol Levante dovremmo poi allineare le
Ducati Scrambler, che con i loro monocilindrici da 250 a 450 cc, all'inizio degli anni Settanta rappresentavano la moto alternativa, "dura" ma genuina e legata ad un'idea romantica del motociclismo che si stava estinguendo. E, dulcis in fundo, le inglesi. Furono proprio gli inglesi infatti ad inventare le scrambler per soddisfare una moda che già nei primi anni Sessanta contagiava i motociclisti americani, e, si sa, l'industria britannica viveva allora soprattutto sulle esportazioni sul mercato a stelle e strisce. "To scramble" in inglese è un verbo che ha molteplici significati: da arrampicarsi, inerpicarsi, a urtarsi, battersi, insomma un verbo che dà l'idea di una sfida, contro un avversario o contro qualcosa d'altro, come ad esempio un percorso fuoristrada. E proprio quest'ultimo è il significato che generalmente si attribuisce alle scrambler, moto robuste, magari un po' grezze, ma capaci di portarci ovunque, anche dove finisce l'asfalto.