Honda CX500, la prima moto di serie Turbo

La turbomania per il mondo delle due ruote inizia negli anni Ottanta, ma ha breve vita. La bicilindrica Honda è la prima moto di serie ad adottare questo dispositivo. Tanta potenza in più da un motore di 500 cc, si scontra con una difficile gestione dell'acceleratore
1/18 Honda CX500 Turbo (a destra) e CX650 Turbo
Poco tempo fa vi abbiamo detto come va la Kawasaki H2 SX, così potente da darti letteralmente un “pugno nello stomaco” quando apri il gas. E tutto questo grazie a una turbina che spinge le prestazioni del 4 cilindri giapponese a limiti poco “umani”. Ma se pensate che, tra le moto, il “Turbo” sia una invenzione recente vi sbagliate: negli anni Trenta i compressori volumetrici sparavano aria a tutta pressione nei cilindri di moto da competizione come la favolosa BMW RS 500 e la Gilera 4 cilindri vincitrice del Campionato Europeo nel 1939 con Dorino Serafini. Poi i regolamenti sportivi cambiarono e la sovralimentazione venne abolita dal Motomondiale. Nemmeno tra la produzione di serie si parla di motori con compressore tranne la bresciana Galbusera che presenta nel 1938 le sue due tempi V4 250 e V8 500 cc e la RS Speciale che BMW aveva regalato al suo più grande pilota: nel 1958, Walter Zeller ricevette a fine carriera una 500 bicilindrica con compressore a palette, una moto da corsa che circolava su strada. Nel 1977 la Renault riporta in auge la sovralimentazione nel mondo dei motori grazie a un propulsore turbo di 1.500 cc che in F1 combatte (e vince) contro i 3.000 aspirati. La moda del turbo dilaga velocemente tra le auto di grande serie e lambisce anche le motociclette: negli Stati Uniti nascono kit di trasformazione per le 4 cilindri giapponesi, però destinati a dragster che corrono nelle gare di accelerazione.
Honda è la prima a raccogliere la sfida tra le moto di grande serie: lo sviluppo era cominciato nel 1977, prendendo come base la turistica CX500. Può sorprendere la scelta di una tranquilla bicilindrica perché il turbo è legato a prestazioni al top ed immagine sportiva. Ci sono motivazioni sia tecniche che di marketing a sostegno di questa scelta. Il motore della CX ha i cilindri fusi in blocco col basamento e questo consente di disporre della rigidità necessaria a sopportare le maggiori sollecitazioni termiche che l’applicazione del turbo produce. In più essendo un bicilindrico a V di 80° può ospitare tra i cilindri molti di quegli accessori indispensabili al funzionamento del turbo senza eccedere negli ingombri. Dal punto di vista commerciale, invece, consente di creare quella media cilindrata con prestazioni da maxi che la moto turbo dovrebbe essere nelle aspettative degli appassionati e negli intenti dei progettisti. Il tempo di risposta all’apertura dell’acceleratore, il famoso turbo-lag, preoccupa gli ingegneri, ma i tecnici giapponesi agiscono su due fronti: la riduzione delle dimensioni della turbina e una gestione accurata di alimentazione ed accensione. Per il primo punto si rivolgono alla IHI, industria giapponese specializzata in compressori e motori a reazione, che realizza il più piccolo turbo mai visto. La turbina investita dai gas di scarico misura 50 mm di diametro mentre quella che soffia aria nel condotto di ammissione è di 48 mm. Prima di allora non si era mai scesi sotto gli 85 mm.

Elettronica fondamentale

Il turbo viene accoppiato ad un avanzatissimo, per quegli anni, sistema di gestione del motore. Ci sono infatti due centraline elettroniche che controllano rispettivamente il sistema di alimentazione ad iniezione e quello di accensione. Il cervello elettronico, come fu definito all’epoca, che sovrintende all’iniezione è alloggiato nel codino e riceve informazioni da una moltitudine di sensori che rilevano sia i parametri ambientali, come la pressione e la temperatura dell’aria, sia quelli relativi al funzionamento del motore, come l’apertura dell’acceleratore e regimi di giri. Lo scopo, per cui lavora anche il computer che gestisce l’accensione ad anticipo variabile, è quello di ottimizzare le condizioni di funzionamento del propulsore ad ogni regime, minimizzando il ritardo del turbo e rendendo l’erogazione il più fluida possibile. Dal punto di vista meccanico il propulsore della CX500 viene irrobustito per sopportare l’aumento di potenza e coppia dai 50 CV a 9.000 giri/min e 4,4 kgm a 7.000 dell’aspirato agli 82 CV a 8.000 e 8,1 kgm a 5.000 giri/min dichiarati per la Turbo. Il rapporto di compressione scende da 10 a 7,2:1 per evitare stress eccessivi e le valvole di scarico vengono rimpicciolite di 2 mm per accelerare la colonna dei gas e attivare più rapidamente la girante del turbo. I rapporti del cambio, così come il rapporto della primaria, vengono allungati mentre viene irrobustito l’albero di trasmissione finale mentre rimane invariato il rapporto della coppia conica finale.
Questa Honda 500 sembra arrivare dal futuro: oltre al motore, anche ciclistica e sovrastrutture sono all’avanguardia. Il telaio si compone di elementi tubolari e parti in lamiera scatolata. Le sospensioni Showa contano su un mono centrale posteriore azionato da un leveraggio Pro-Link e su una forcella oleopneumatica con dispositivo anti-affondamento in frenata TRAC (Torque Reactive Antidive Control) regolabile su quattro posizioni. La carrozzeria è di disegno più turistico che sportivo, con un cupolino che termina col plexiglass quasi verticale. Le finiture sono impeccabili, e pure la qualità delle plastiche e delle verniciature desta ammirazione. La prova dinamica, nella primavera 1981, avviene sull’anello soprelevato di Tochigi. La scelta non è casuale: il tracciato veloce permette di tenere in tiro il motore e di minimizzare le decelerazioni che il turbo mal sopporta. Inoltre, protezione aerodinamica e precisione direzionale, che sulla Turbo sono di rilievo assoluto, vengono ulteriormente enfatizzate dall’asfalto liscio e regolare. Carlo Perelli, allora vice direttore di Motociclismo, è l'autore del test e sottolinea un certo ritardo di risposta tra i 4.000 e i 5.000 giri, il successivo “riattacco” piuttosto brusco e il peso da maxi più che da media. Per l’Italia sono previste 200 unità e le prenotazioni non mancano nonostante un prezzo elevato: 9.380.000 lire contro i 6.405.000 lire di altre Honda sportive come la CB900 FII e i 10.080.000 lire della CB1100R, top di gamma.

Le vere prestazioni

Motociclismo prova la Turbo sul fascicolo 5-1982. Da un lato viene ribadito l’elevatissimo livello delle finiture, il buon comportamento di telaio e freni ed il comfort di guida, ma emergono alcuni difetti propri delle “turbomoto”. Il peso è elevato, e se non disturba nei curvoni veloci si fa invece sentire nel misto rendendo la moto restia a rapide inversioni di inclinazione. I consumi sono in media elevati: circa 12,5 km/l su percorsi misti. Fuori da un anello da alta velocità la Turbo dimostra di non avere eliminato i problemi legati al ritardo di risposta dell’acceleratore. È necessario anticipare le manovre: percorrere la curva con un filo di gas per mantenere attivo il turbo e poi aprire a moto quasi dritta per gestire la brusca erogazione. Guidando diversamente, il turbo cala di regime e prima di tornare a fornire 1,2 bar di sovrapressione trascorrono lunghi attimi. Diventa difficile capire quando la potenza sarà di nuovo disponibile e si rischia una botta di CV a moto inclinata. Nata per essere una media con la potenza di una maxi, si ritrova ad avere dimensioni di una 1.000, però la sensazione di potenza che la CX regala quando il turbo spinge è il massimo. Questa bicilindrica, che verrà proposta nel 1983 anche in versione di 673 cc e 100 CV di potenza max, è vissuta della sua esclusiva tecnologia e dell’indubbia qualità Honda, che in quel periodo scavava un abisso col resto della produzione mondiale. Di tanta tecnologia quello che ci rimane non è la sovralimentazione ma la ricerca fatta sull’elettronica per gestirla. Gli ingombranti computer che governano il motore della CX sono i nonni delle compatte centraline che oggi aiutano a gestire le nostre moto.
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