di Gualtiero Repossi - 05 May 2023

Laverda 750 SFC: nata per correre

Costruita in appena 549 esemplari e versione supersportiva della SF, la 750 SFC è stata il sogno nel cassetto dei motociclisti nei primi anni Settanta. Veloce, affidabile e dotata di una stabilità sul veloce eccezionale, è stata protagonista delle gare di Endurance e, in Italia, dell’irripetibile stagione delle Derivate di serie

Nel giugno del 1969 alla frontiera del Brennero si raduna la spedizione Laverda che deve partecipare alla 24 Ore di Oss in Olanda. Ci sono Massimo e Piero Laverda, il tecnico Luciano Zen, l’ex pilota-collaudatore Stefano Rizzitelli, poi Nino Carretta, Giuliano Oro ed il resto dei meccanici. C’è anche il toscano Augusto Brettoni, neoacquisto della Casa di Breganze, aggregato al gruppo per fare esperienza in vista del suo prossimo impiego alla 24 Ore di Barcellona sullo stradale del Montjuich. Sul camion officina ci sono due 750 S preparate per la gara d’esordio della Laverda nell’Endurance e che verranno affidate all’equipaggio formato dall’olandese Hans Hutten e dal tedesco Dieter Reiman.

Ma Massimo Laverda è di diverso parere e prima di mettersi al volante della sua Lamborghini per prendere assieme a Zen la strada dell’Olanda, chiama Brettoni e annuncia: “Con il muletto facciamo la gara noi due”.

Quella di Oss è una 24 ore “fuorilegge”, organizzata da una Federazione motociclistica dissidente da quella olandese e non affiliata alla Federazione Motociclistica Internazionale. Si disputa su un pericoloso circuito stradale di 3.200 metri ricavato fra la zona industriale e le campagne attorno alla cittadina di Oss, nel sud dell’Olanda. Il tracciato è caratterizzato da un lungo rettilineo di 1.200 metri circondato da case ed alberi e da un tratto misto composto da undici curve, a corto e medio raggio. La sede stradale è stretta e dal fondo irregolare, le condizioni di sicurezza sono praticamente inesistenti. Ad Oss, Massimo Laverda ed Augusto Brettoni corrono sotto falso nome (Lover Otis ed Islero rispettivamente); terminano la prova al quarto posto assoluto, vincendo la classe 750 nonostante i problemi ad un pistone e all’albero motore accusati dalla loro moto li costringono ad una sosta forzata ai box di 35 minuti. Hutten e Reiman invece sono costretti al ritiro dopo aver guidato la gara per ben 18 ore a causa di un guasto alla distribuzione.

L’anno dopo la Laverda ci riprova con una spedizione in grande stile e domina la gara. Davanti ad un’incredibile cornice di pubblico che gli organizzatori stimano in 60.000 persone, Brettoni e Dossena con la nuovissima 750 SF si aggiudicano la prova, precedendo due equipaggi locali (Hutten/van der Wal e Somers/de Laat) con delle Laverda S particolarmente veloci ed affidabili. Il successo galvanizza gli uomini della Laverda, che decidono di impegnarsi massicciamente nelle gare di durata. Così una volta tornata a Breganze, la moto di Brettoni e Dossena viene utilizzata come base per sviluppare una versione ancora più sportiva della 750 SF, da affiancare al nuovo modello e da mettere a disposizione di chi vuole cimentarsi nelle competizioni, soprattutto in quelle per le Derivate di serie, che proprio nel 1970 vedono fiorire in Italia le prime 500 km a loro dedicate. Lo sviluppo della nuova Laverda viene affidato proprio ad Augusto Brettoni, che sulle sue misure da corazziere, si “cuce” addosso la miglior supersportiva italiana dei primi anni Settanta.

Una moto da corsa targata

Una vera moto da corsa senza compromessi, con impianto elettrico, targa e fanali per poter circolare sulle strade di tutti i giorni, ma già pronta per scendere in pista. Battezzata SFC, Super Freni Competizione, per differenziarla dalla SF (Super Freni) da cui deriva, la nuova Laverda viene presentata al Salone di Milano nel novembre del 1971, dove divide la scena nello stand della Casa di Breganze con la versione definitiva della 1000 tre cilindri. Anche se ad onor del vero la stampa specializzata aveva già abbondantemente descritto la nuova venuta e Motociclismo sul numero di agosto di quell’anno ne aveva già mostrato alcune immagini. Rispetto alla SF, l’SFC presenta solo alcune differenze e nemmeno troppo radicali. Il telaio doppio trave superiore in tubi d’acciaio resta invariato, ma è di colore argento anzichè nero, grazie ad una particolare verniciatura galvanica. Come sulla moto che ha corso ad Oss nel 1970, viene montato un cupolino in vetroresina fisso al telaio che si prolunga ai lati del serbatoio. Quest’ultimo, anch’esso in vetroresina come il codino monoposto, è maggiorato a 24 litri.

Il bicilindrico raffreddato ad aria della SFC viene montato a mano e con le cure del caso nel Reparto corse Laverda. Ha valvole di maggiori dimensioni (aspirazione 41,5 mm, scarico 35,5 mm anziché 38 mm e 34 mm come sulla SF) e un albero motore meglio equilibrato. Adotta inoltre una coppia di carburatori Amal da 36 mm al posto dei Dell’Orto montati sulla SF. Per aumentare la luce a terra della moto, gli scarichi (separati, intercambiabili e privi di compensatore) sono rialzati e passano ai lati del basamento motore, ma quello destro è più basso per la presenza della dinamo. Completa l’opera una vistosa colorazione arancione, che domina le parti di carrozzeria e i foderi forcella, simile a quella utilizzata nel medesimo periodo sui trattori e i mezzi agricoli anch’essi prodotti dalla Casa di Breganze. La scelta di un colore così vivace ed originale inizialmente è motivata dalla necessità di rendere ben visibili le SFC al buio, durante le gare di Endurance, ma diventa in breve tempo sinonimo di Laverda da corsa e verrà utilizzata anche su altri modelli.
Che la nuova moto sia votata alla pista lo conferma il fatto che il primo lotto di SFC non viene messo in vendita al pubblico ma ai piloti. Si tratta di meno di 25 esemplari con serbatoio in alluminio anzichè in vetroresina e con alcune parti speciali in optional come gli scarichi liberi ed il freno anteriore Ceriani da competizione, costruiti alla vigilia del Salone di Milano che segna il debutto “in società” della nuova Laverda.

Questa della tiratura limitata resterà una prerogativa di tutta la produzione delle SFC che non andrà oltre il tetto dei 550 esemplari, un numero decisamente inferiore a quello delle altre biclindriche sportive italiane dello stesso periodo, Ducati 750 SS e Moto Guzzi V7 Sport, che della Laverda sono state rivali commerciali e valide antagoniste in pista. La SFC è anche decisamente più costosa delle altre perchè nel 1971 è in vendita a 1.410.000 lire - che già l’anno seguente salgono a 1.549.000 lire - ma proprio per questa sua esclusività è molto ambita.

Poco importa se da usare è scomodissima - soprattutto per chi non ha la fortuna di avere la taglia di Brettoni - pesante da condurre, con la frizione granitica, le vibrazioni feroci e una maneggevolezza penalizzata in parte nel misto stretto dal baricentro un po’ alto. Basta il rombo proveniente dallo scarico della SFC per far passare in secondo piano tutto il resto. Meglio ancora se si monta lo scarico libero, adatto alla pista ma assolutamente fuorilegge su strada anche nei primi anni Settanta, quando le diverse condizioni di traffico facevano si che i tutori dell’ordine fossero di vedute “più morbide” rispetto ad oggi.

E poi essendo una moto sportiva, la SFC va guidata come tale. Cioè sempre al limite. Solo così si possono apprezzare la stabilità del telaio che consente di viaggiare sui classici due binari nei curvoni veloci e le brillanti prestazioni del motore.

Fra il 1971 e il 1973 la SFC raccoglie un buon numero di successi: Angiolini e Hutten vincono la 24 Ore di Oss del 1971. Lo stesso Angiolini in coppia con Brettoni si impone anche alla 24 Ore di Barcellona sullo stradale del Montjuich ed è secondo al Bol d’Or sempre con il pilota toscano, mentre nelle 500 km in Italia si registrano i successi di Angiolini e Pescucci a Modena nel 1971 e quello di Gallina e Pescucci sulla stessa pista l’anno seguente.

Febbraio 1972: la prova di Motociclismo

Nel febbraio del 1972 Motociclismo prova la SFC: un primo assaggio nei pressi di Breganze, seguito da una prova sulla pista di Monza. Il giudizio dei tester è positivo: “Abbiamo in mano una moto già venduta, che il proprietario ha voluto con il freno Ceriani da 230 mm e i rapporti montati non sono i più lunghi che la SFC riesce a tirare. Nonostante le marce siano spaziate come sulla SF (con un sensibile vuoto fra la seconda e la terza) i settemila giri in quinta marcia si raggiungono in un attimo. All’assetto di guida un po’lungo si fa presto l’abitudine, ed anzi in breve tempo si ha l’impressione di fare un tutt’uno con la moto. Forse ci si potrebbe ‘incastrare’ meglio in sella se le svasature per le ginocchia sul serbatoio fossero un poco più profonde. Il cambio ci pare più dolce e preciso rispetto alla SF ed è comodo da usare tanto con la leva singola che con il bilanciere. Morbida anche la leva del freno posteriore, che è solo un po’ disassata rispetto alla pedana. Il motore prende attorno ai 4.000 giri e dovrebbe entrare in coppia poco dopo. Diciamo dovrebbe, perchè non si verifica lo strappo che ci si attenderebbe da un motore da 70 CV quando entra in regime di coppia. Su e giù per i curvoni la SFC va come su un binario. Negli avvallamenti del terreno la macchina non innesca inquietanti ondeggiamenti. Gli ammortizzatori non hanno una risposta morbidissima, ma in compenso la traiettoria non muta di un centimetro. Più maneggevole della SF, l’SFC lo è di sicuro. Non di molto visto che la geometria della moto e la disposizione dei pesi è rimasta invariata, ma certo la batteria abbassata e l’assetto che obbliga a caricare ulteriormente l’avantreno e le nuove gomme (la SFC veniva consegnata con i Dunlop K81, anziché i Metzeler montati sulla SF), qualcosa hanno fatto. E per accorgeresene è sufficiente impostare le curve che da Breganze arrancano verso Bassano del Grappa: la moto si inclina e si rialza con maggior facilità, perdonando anche qualche correzione di traiettoria”.

Delle vibrazioni, della frizione dura da azionare e degli altri difetti che pure sono presenti, nella prova non si fa alcun cenno. Evidentemente l’entusiasmo per essere alla guida di una moto da competizione targata, all’epoca ha offuscato il giudizio dei tester...

Essendo una moto nata per le competizioni, la SFC gode di continui aggiornamenti, tanto è vero che la moto provata da Motociclismo presenta già numerose piccole modifiche rispetto alla SFC presentata sulle pagine della rivista solo pochi mesi prima. E questa tendenza prosegue per tutto il ciclo del modello.

Nel 1974 la seconda serie

Nel 1974 gli interventi riguardano motore e ciclistica, con l’adozione di un nuovo telaio ribassato nella zona della sella di ben 5 cm, di una forcella da 38 mm e dell’impianto frenante della Brembo, con dischi da 280 mm e pinze a doppio pistoncino. Anche il motore viene rivisitato: ci sono una nuova camma, nuove valvole, diversi rapporti del cambio e carburatori Dell’Orto anziché Amal. Fra tutte le versioni della SFC, quella del 1974 è costruita nel maggior numero di esemplari - 222 - ma non riesce a ripetere i successi sportivi della precedente versione. Nelle Derivate di serie la concorrenza si è fatta più agguerrita rispetto a prima. E l’arrivo della Ducati 750 SS rende la vita difficile alla biclindrica di Breganze. Anche nella Coppa Europa Endurance, la presenza di veri e propri prototipi come le Kawasaki Godier Genoud e le Honda Japauto, nonchè il contemporaneo sviluppo della Laverda 1000, tarpano le ali alla SFC che in questa sua seconda versione raccoglie solo qualche sporadica vittoria in Italia nelle mani del futuro Campione del mondo della classe 500 Franco Uncini.

Terza serie nel 1975

L’esperienza maturata nelle corse consente però di presentare nel 1975 la terza ed ultima versione della Laverda SFC 750 che gode degli ultimi ed importanti aggiornamenti. Provata da Motociclismo nel febbraio dello stesso anno, suscita ancora una volta unanimi consensi: “In questi anni la bicilindrica di Breganze è diventata via via più stabile e maneggevole, meglio frenata ed ancor più tetragona agli sforzi prolungati attraverso una lunga serie di grandi e piccoli miglioramenti suggeriti sia dalla partecipazione diretta alle competizioni di durata sia dall’esperienza della sua numerosa clientela in Italia e all’estero. I miglioramenti apportati a quest’ultima serie riguardano soprattutto il motore.”

E infatti ecco l’accensione elettronica della Bosch, un radiatore dell’olio montato anteriormente al blocco cilindri per migliorare il raffreddamento del motore, una nuova camma più spinta, testa e camere di scoppio ridisegnate e nuovi pistoni. In questa configurazione il bicilindrico di Breganze “denuncia qualche vibrazione solo a regimi di scarsa utilizzazione, attorno ai 3.000 giri, entra in piena coppia sui 5.500 giri ed arriva prepotentemente agli 8.500 giri”, ma spinge l’SFC a quasi 210 km/h (che diventano 225 km/h con lo scarico aperto). I 400 metri con partenza da fermo vengono percorsi in soli 12 secondi e 55 centesimi con velocità di uscita di 180 km/h. Questa terza ed ultima versione della 750 SFC viene prodotta solo nel biennio 1975-1976 e complessivamente in appena 160 esemplari, gli ultimi dei quali con le ruote in lega a cinque razze costruite dalla FLAM di Gallarate (una fabbrica della Laverda) identiche a quelle montate anche sulla terza ed ultima serie della 750 SF. Poi la SFC esce in punta di piedi dal listino della Casa di Breganze per andare ad occupare di diritto un posto nella storia delle bicilindriche sportive italiane degli anni Settanta.

Caratteristiche tecniche (in parentesi le differenze della seconda e terza serie)

Motore: bicilindrico parallelo frontemarcia, 4 tempi, raffreddato ad aria. Teste e cilindri in lega leggera con canne in ghisa speciale riportate per interferenza. Cilindri inclinati in avanti di 25°. Distribuzione monoalbero a camme in testa comandata da catena duplex fra i due cilindri. Inclinazione valvole 70°, ø valvola aspirazione 41,5 mm, ø valvola di scarico 35, 5 mm, steli da 8 mm (steli da 7 mm). Alesaggio per corsa 80x74 mm. Cilindrata 743,92 cc. Rapporto di compressione 9,8:1 (10,4:1). Diagramma di distribuzione: aspirazione apre 45° prima del PMS e chiude 52° dopo il PMS. Potenza max 65 CV a 7.500 giri (68 CV a 7.500 giri). Lubrificazione: a carter umido con pompa ad ingranaggi di mandata e recupero con filtro a reticella metallica. Capacità coppa dell’olio 3 litri (radiatore dell’olio supplementare montato davanti al blocco cilindri sulla terza serie). Alimentazione: due carburatori Amal Concentric da 36 mm (due carburatori Dell’Orto PHB da 36 mm a partire dagli ultimi esemplari della prima serie fino al termine della produzione). Accensione: a batteria 12V con ruttore a due coppie di contatti montati a sinistra dell’albero motore e bobina singola per ogni candela. Anticipo minimo 0°, anticipo massimo automatico 40°. Distanza fra i contatti 0,45 mm. (elettronica Bosch. Anticipo massimo 38°, 18° ottenuti automaticamente). Avviamento: elettrico. Trasmissione: primaria a catena triplex con tenditore a pattino, sul lato sinistro del motore. Frizione: multidisco in bagno d’olio con comando a cavo. Cambio: in blocco a 5 rapporti con ingranaggi dritti ad innesti frontali e quinta in presa diretta. Comando sulla destra. Telaio: doppio trave superiore con quattro tubi d’acciaio da 35 mm. Motore vincolato alla testa e nella zona posteriore del carter (a partire dalla seconda serie il doppio trave è più basso di 50 mm per abbassare il baricentro). Sospensioni: anteriore forcella telescopica Ceriani ø 35 mm (Ceriani ø 38 mm, escursione 140 mm); posteriore forcellone oscillante con due ammmortizzatori idraulici Ceriani (due ammortizzatori idraulici Ceriani regolabili su tre posizioni. Escursione 90 mm). Freni: anteriore e posteriore a tamburo in lega leggera a doppia camma da 230 mm (anteriore a doppio disco Brembo da 280 mm con pinze a doppio pistoncino; posteriore a disco da 280 mm con pinza a doppio pistoncino). Ruote: a raggi con cerchi in lega leggera Borrani. Pneumatici anteriore 3,50-18”, posteriore 4,00-18” (sulla terza serie a partire dal 1976 ruote in lega a cinque razze da 18”) Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza massima 2.140 (2.100), interasse 1.480 (1.470), larghezza max al manubrio 570 (610), larghezza pedane 590 (570), altezza massima 1.170 (1.165), altezza manubrio alle manopole 860 (820), altezza sella 775 (745), altezza pedane 390 (395), luce a terra 150 (145). Peso a secco 206 (208 seconda serie e 195 terza serie) kg: anteriore 98 (99 seconda serie e 96 terza serie) kg, posteriore 108 (109 seconda serie e 99 terza serie) kg. Prestazioni: velocità massima 212 km/h (220 km/h seconda e terza serie).

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