Luigi Corbetta - 17 May 2023

Benelli 750 Sei: il fascino del 6

Benché la sua meccanica sia ispirata alle Honda del tempo, questa Benelli vanta il primato di essere la prima sei cilindri prodotta in serie. Un’esclusività che oggi le permette di entrare di diritto nel gruppo delle maxi anni Settanta degne di essere collezionate. Il suono del motore e una linea personale non devono però far passare in secondo piano i numerosi difetti

La Benelli 750 Sei è sicuramente una moto che merita di essere rivalutata e di entrare a far parte, se non della propria collezione, almeno della doverosa considerazione da parte di ogni appassionato. Non è esente da difetti e commercialmente non ha avuto il successo sperato all’epoca della sua presentazione, ma motociclisticamente parlando ha segnato un’epoca.

Diciamolo subito, la Sei è una moto strana. Entusiasma il rombo del suo motore ed anche esteticamente è appagante, ma contemporaneamente suscita l’interesse di una cerchia ristretta di appassionati nonostante vanti il primato di essere la prima sei cilindri al mondo ad essere prodotta in serie. Non è cosa da poco, se si pensa alla situazione del mercato motociclistico italiano dei primi anni Settanta.

Figlia dell’era De Tomaso

La Benelli Sei è figlia dell’era De Tomaso, quando il magnate italo-argentino fa convivere sotto lo stesso tetto la Benelli - acquisita nell’estate del 1971 - e la Moto Guzzi, “fagocitata” un anno dopo. Due Marchi storicamente antagonisti sul mercato e nelle corse, costretti improvvisamente nella prima metà degli anni Settanta, a condividere le medesime strategie aziendali. Una situazione a dir poco singolare e, sotto alcuni aspetti, anche negativa.

De Tomaso, a cui bisogna riconoscere un indubbio coraggio, vuole stupire rinnovando la gamma delle due Case, proponendo modelli particolari che facciano discutere. In quest’ottica nasce l’idea della Sei. “Dopo il dominio dei bicilindrici americani, tedeschi ed inglesi, i giapponesi spopolano con il quattro cilindri? Bene - sembra essere il pensiero dell’imprenditore italo argentino - noi metteremo in produzione un motore ancor più frazionato, così li surclasseremo”. Ma, come vedremo, a sfavore dell’idea giocano due fattori determinanti per l’esito del prodotto finito: il tempo e i costi.

Come ben si sa la fretta è cattiva consigliera, soprattutto quando si decide di avventurarsi in un territorio inesplorato, dove occorre tempo per valutare ogni singolo elemento.

Non meno importante l’aspetto economico. I giapponesi, allora più di oggi, riescono a garantire un prodotto dal rapporto qualità-prezzo semplicemente imbattibile. Così, per essere competitivi, in Benelli si “risparmia” sui tempi della progettazione, sui costi dell’assemblaggio e purtroppo anche sulla scelta dei materiali e della componentistica.

Peccato, perché inizialmente gli elementi per la buona riuscita del prodotto ci sono tutti. Incaricato della progettazione del motore è il valente tecnico Piero Prampolini già in Parilla, Mondial e MotoBi; ci sono poi due grossi nomi in campo automobilistico quali Vignale e Ghia (anch’essi entrati nell’orbita De Tomaso) che dovranno occuparsi del design. I partner tecnici annoverano la Brembo, che realizza due grossi dischi anteriori dedicati, e la Pirelli, incaricata di studiare pneumatici adatti alle prestazioni della moto. Alla Marzocchi ci si rivolge per le sospensioni e alla Veglia Borletti per avere una strumentazione originale. Bisogna però fare i conti con il fattore tempo. Ecco allora che Prampolini, senza mezze parole, viene invitato dal vertice aziendale a copiare il 4 cilindri Honda di 500 cc a cui andranno aggiunti due cilindri per creare il 750 Sei.

Presentata nel 1972

La moto prende rapidamente forma e il 27 ottobre 1972 viene presentata alla stampa presso il lussuoso hotel Canal Grande di Modena, quartier generale di De Tomaso. Lo stupore e l’entusiasmo iniziali diminuiscono però di mese in mese: il tanto atteso avvio della produzione, promessa per la primavera del 1973, ritarda inesorabilmente per diversi motivi.

Innanzitutto c’è il problema motore. La “copiatura” è veloce, ma le modifiche necessarie per il trapianto dei due cilindri in più non lo sono altrettanto. I sei carburatori Dell’Orto ad esempio faticano ad entrare in sintonia fra loro e richiedono una messa a punto attenta e costante. Il problema viene superato solo con l’adozione di tre carburatori, uno per ogni coppia di cilindri.

L’altro aspetto negativo che deve affrontare Prampolini riguarda la componentistica. I fornitori di parti vitali inizialmente scelti dal tecnico quali la Montepilli di Torino per l’albero motore e la Cima di Bologna per gli ingranaggi offrono garanzie assolute. Tanto che i prototipi della Sei macinano chilometri senza evidenziare particolari problemi se non qualche difetto di gioventù a cui è facile porre rimedio. Ma eccellenza non si sposa con economia: le aziende italiane non sono in grado di fornire particolari di un certo livello a prezzi... modici: un ostacolo non da poco se si considera che si sta lavorando al progetto di una motocicletta che dovrebbe rappresentare la massima espressione nel campo delle due ruote. Occorre mettere in produzione al più presto la 750 che, malgrado ogni sforzo, costa già parecchio più della concorrenza.

Così, pur con grave ritardo rispetto alla presentazione, la 750 Sei viene messa sul mercato nel 1974 accompagnata dalle prime delusioni. Le finiture sono solo discrete, la componentistica è di qualità modesta e gli assemblaggi approssimativi.

Ma più preoccupanti sono i problemi meccanici. I difetti di gioventù si sono tramutati in problemi più seri: si verifica una precoce usura delle camme, il consumo d’olio non scende mai sotto 1 kg ogni 1.000 km, i cilindri patiscono fastidiosi trafilaggi e anche le forchette del cambio si consumano facilmente compromettendone la manovrabilità fino al bloccaggio. Per non parlare dell’impianto elettrico che spesso e volentieri fa le bizze, soprattutto quando piove.

Cosa è successo dunque al momento dell’industrializzazione della sei cilindri, dato che i prototipi non andavano affatto male?

Una risposta la si trova in parte ripercorrendo le fasi della realizzazione della moto. Il progetto e la costruzione dei primi prototipi avviene a Pesaro, sotto la guida di Prampolini che, come abbiamo detto, sceglie materiali di prim’ordine per il motore, affidandosi ad aziende specializzate.

Ma al momento dell’industrializzazione De Tomaso affida la costruzione del motore alla Moto Guzzi e lascia a Pesaro il solo assemblaggio. E a Mandello si decide di utilizzare il materiale già disponibile o produrlo in casa per contenere i costi. Forchette del cambio e ingranaggi vengono realizzati in acciaio al piombo e non legato e di conseguenza meno resistente; i pattini dei bilancieri vengono cromati con un procedimento poco raffinato, con il risultato che lo strato di cromo di stacca anche dopo percorrenze modeste e le camme si usurano precocemente.

Questa politica “al risparmio” contribuisce ad affossare commercialmente la Benelli Sei, in quanto certi difetti, su una moto costosa che deve rappresentare il massimo della tecnica motociclistica, appaiono inaccettabili. Perché allora acquistarne una oggi?

Un’ottima granturismo

Innanzitutto perché la Sei è un’ottima granturismo e tale va considerata, senza cadere nell’errore dell’epoca e paragonarla a mezzi più sportiveggianti. In quest’ottica più tranquilla si rivela un’ottima moto. Il motore, oltre ad emettere un sound indiscutibilmente unico, è quasi esente da vibrazioni, elastico e con un buon allungo. La moto, a dispetto delle dimensioni e del peso, è facile da guidare, maneggevole e comoda, esteticamente accattivante grazie al suntuoso impianto di scarico sei in sei di cui è dotata. Grazie ai due potenti freni a disco anteriori e al tamburo posteriore, la frenata è efficiente e sicura in ogni condizione. Non mancano infine prestazioni brillanti, come rileva Motociclismo nella prova sul n. 4-1975: velocità massima 196,600 km/h ed accelerazione da 0 a 400 metri in 13,010 secondi con una velocità di uscita di 162,16 km/h. Niente male per una moto che pesa 232 kg e dispone di 63,6 CV a 8.500 giri alla ruota.

Oggi poi una moto del genere verrebbe impiegata per percorrenze limitate, il che aiuterebbe a risparmiare la meccanica. Rimane infine un dubbio: la sorte della 750 Sei e, perché no, della stessa Benelli, sarebbe cambiata se si fosse posta maggior cura nello sviluppo e nell’assemblaggio, anche a costo di far lievitare ulteriormente il prezzo di acquisto?

Caratteristiche tecniche

Motore: a 4 tempi, 6 cilindri in linea fronte marcia, testa e cilindro in lega leggera, alesaggio per corsa 56x50,6 mm, cilindrata totale 747,77 cc, rapporto di compressione 9,8:1, distribuzione monoalbero a camme in testa mosso da catena centrale, 2 valvole per cilindro, lubrificazione a carter umido con pompa Eaton trocoidale, capacità coppa 3 litri, raffreddamento ad aria. Potenza max 75 CV SAE a 9.000 giri, coppia max 7 kgm a 6.850 giri. Alimentazione: tre carburatori Dell’Orto VHB24D, getto max 102, getto min 45, valvola del gas 40, spillo conico E4 alla 2a tacca, polverizzatore 262 AE, filtro aria a secco; serbatoio della benzina da 23 litri. Accensione: spinterogeno Bosch a tripla coppia di contatti sui lato destro dell’albero motore. Tre bobine esterne. Avviamento elettrico e a pedale. Impianto elettrico: batteria 12V-15Ah, alternatore 185W. Frizione: multidisco in bagno d’olio con comando a cavo. Cambio: a 5 marce con leva sulla sinistra. Valore rapporti: 2,45 in prima, 1,71 in seconda, 1,27 in terza, 1,05 in quarta, 0,80 in quinta. Trasmissione: primaria di tipo misto con catena Morse e ingranaggi a denti dritti, rapporto Morse 24/28, rapporto ingranaggi 23/53, rapporto totale 3,82; secondaria a catena da 3/8x5/8 Regina Extra da 102 maglie, rapporto 2,41 (17/41). Telaio: doppia culla chiusa in tubi di acciaio. Inclinazione cannotto di sterzo 28,3°, avancorsa 95 mm.

Sospensioni: anteriore forcella Marzocchi teleidraulica con steli da 38 mm; posteriore forcellone oscillante con due ammortizzatori Sebac regolabili su 5 posizioni. Freni: anteriore a doppio disco Brembo da 280 mm con pinze a due pistoncini, posteriore a tamburo centrale da 200 mm. Ruote: cerchi a raggi Borrani in lega, pneumatici Pirelli Gordon 3.50-18” ant, 4.25-18” post, pressione di gonfiaggio 2,0 bar ant e 2,3 bar post (2,5 in coppia). Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.170, larghezza 740, altezza sella 820, interasse 1460, altezza minima da terra 150, altezza pedane 310, peso a vuoto 232 kg. Prestazioni dichiarate: velocità max 200 km/h, consumo medio 16 km/litro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA