26 May 2023

Bultaco Sherpa T 350: regina dell’equilibrio

Già dominatrice del Campionato Europeo di Trial con quattro titoli ottenuti tra il 1968 e il 1974, la Bultaco si impone anche nel Mondiale, la cui prima edizione data 1975. Da allora e fino al 1979 colleziona cinque titoli di fila grazie alla nuova Sherpa 350. Una moto vincente nelle corse, ma anche versatile nell’uso normale. È stata prodotta in oltre 2.700 esemplari

Dici Bultaco e il pensiero corre a “lei”: alla Sherpa T 350 del 1975. E non a caso, visto che oltre ad essere indiscutibilmente affascinante nel design, ha scritto pagine davvero importanti nella storia del Trial. Al suo debutto si aggiudica il primo Campionato del Mondo della specialità con l’inglese Martin Lampkin, per poi ripetersi nel 1976 con il finlandese Yrjo Vesterinen (che con la Casa spagnola vincerà anche i Mondiali Trial 1977 e 1978). Sempre nel 1976, si impone nella Sei Giorni Scozzese con Martin Lampkin, vincente pure nel 1977 e 1978. Dunque, una moto nata per vincere che, curiosamente, rappresenta anche una delle ultime Trial utilizzabili a 360 gradi, per avvicinarsi alla specialità, ovviamente, ma anche per andare a scuola, per compiere brevi gite fuoriporta, per fare semplice motoalpinismo, il tutto garantito da una discreta autonomia grazie al serbatoio da 6,5 litri e ad un consumo variabile da 15 a 25 km/ litro (pensate che oggi una Trial, che si usa solo per agonismo, ha un serbatoio che non contiene più di 2,5/3 litri).

Equilibrio perfetto

Il segreto della Shrepa T? L’equilibrata sintesi di tutte le esperienze maturate dal Marchio spagnolo nella specialità, a partire dal 1965. In quell’anno, nel mondo ancora molto “british” del Trial, giunge come un uragano la Bultaco Sherpa T 250 con motore due tempi, che l’anno successivo si aggiudica nientemeno che la Sei Giorni Scozzese con in sella (o meglio sulle pedane) Sammy Miller. Il funambolico e già famoso pilota irlandese ha contribuito pesantemente al suo sviluppo - e regalerà alla moto anche il suo nome - trasformando un oggetto appena abbozzato per il Trial, come la Sherpa N (nata nel 1961) in una macchina vincente. Ed il bello è che tutto avviene proprio nella “fossa dei leoni”, con le blasonate quattro tempi inglesi strapazzate a casa loro dal nuovo binomio. Per la Bultaco è l’inizio di una fulminea ascesa e che ha risvolti commerciali importanti, perché questa Sherpa T viene prodotta nei primi due anni in ben 1.275 esemplari. Nel 1967 Sammy Miller concede il bis alla Scottish e nel 1968 si impone ancora una volta, con l’evoluzione della T, battezzata San Antonio (modello 27, prodotto in circa 700 esemplari) che monta il cambio cinque marce anziché a quattro. Con una ulteriore modifica di questa moto, sviluppata nel 1968 e battezzata Sherpa T modello 49 il pilota inglese si aggiudica il Campionato Europeo di quell’anno e quello del 1970. Un modello, quest’ultimo, di grande successo tanto da rimanere in produzione fino all’aprile 1971, totalizzando 4.706 unità. Nel 1972 sulla Bultaco salgono in cattedra altri due piloti inglesi: Martin Lampkin che diventa Vice Campione d’Europa, e Malcolm Rathmell che torna a vincere in Scozia. Un anno più tardi la Sherpa T già di 350 cc - modello 92 - con Lampkin vince il Campionato Europeo, scalzando l’altro forte binomio anglo-iberico Mick Andrews con la Ossa (vincitore nel 1972); nel 1974 è Rathmell con la sua Bultaco ad imporsi nell’ultimo Campionato Europeo. Quindi, dopo una versione 250 e 350 “di passaggio” a listino nel 1975, con parafanghi in plastica, arriviamo alla “nostra” Sherpa T 350 codice 159 (come da tradizione affiancata dalla versione di 250 cc, codice 158) i cui primi esemplari scendono dalle linee di montaggio nell’aprile del 1975, che potremmo definire l’ultima “classica” prodotta dal Marchio spagnolo. Rispetto al modello che l’ha preceduta - dalla 92 che si era nel frattempo passati alla 125 e poi alla 151, sviluppando sia il motore (sceso da 21 a 17,5 CV) sia la ciclistica e limando il peso da 98 a 91 kg - tutto è cambiato. In primo piano, il telaio monoculla sdoppiato in acciaio è al cromo-molibdeno ed è privo del caratteristico trave tubolare centrale discendente; l’ancoraggio del motore avviene attraverso una sorta di ganascia in lega leggera, attraversata dal fodero dove scorre il perno del forcellone. Quest’ultimo, pur nel rispetto delle precedenti quote di lunghezza e interasse della moto (2.005 e 1.315 mm) è stato allungato verso la parte anteriore, portando il perno più vicino al pignone di uscita cambio, migliorando le condizioni di lavoro della catena e degli ammortizzatori. Viene mantenuta la soluzione della culla inferiore in due tubi con griglia saldata, forse l’unico vero difetto di questa mitica Bultaco perché risulta troppo esposta agli urti in un Trial che si sta facendo via via sempre più duro (non per niente tale soluzione verrà abbandonata dalla Sherpa “blu” 199A del 1978 a favore di un telaio aperto con robusta piastra inferiore in alluminio).

Il reparto sospensioni propone l’abbinamento fra la robusta forcella Telesco a perno avanzato da 165 mm di escursione e gli ammortizzatori teleidraulici Betor regolabili su tre carichi di molla; la forcella presenta la caratteristica piastra inferiore arcuata verso il basso, per migliorare escursione e resistenza torsionale, e la piastra superiore con gli attacchi del manubrio arretrati; prevede inoltre la posizione incassata nei foderi del perno ruota e del bullone di fissaggio, soluzione che limita contatti indesiderati. I freni sono sempre a tamburo laterale in lega leggera, ma entrambi misurano 125 mm (sulla precedente serie il posteriore era da 140 mm) e presentano la pista interna cromata, anziché in ghisa, per evitare bloccaggi e l’insorgere di ruggine. Quello anteriore è azionato da un cavo che viene accuratamente “guidato” presso il gambale destro della forcella, in modo da non sporgere lateralmente; quello posteriore è comandato da un’astina metallica aderentissima alla corona, con leveraggio rivolto verso l’alto e pratico comando di regolazione a vite, azionabile a mano libera.

Il primo carburatore Bing su una trial spagnola

Il motore mantiene le misure del precedente, con 83,2 mm di alesaggio e 60 mm di corsa che determinano la cilindrata di 326,20 cc; anche la compressione è sempre di 9:1. Tuttavia, l’adozione di un carburatore Bing T/84 (per la prima volta montato su una Trial spagnola) in luogo del precedente Amal 627, consente di raggiungere i 18,5 CV di potenza (contro 17,5) e soprattutto di migliorare il passaggio e il tiro a tutti i regimi, assicurando anche maggiori capacità di allungo. Il carburatore respira attraverso una voluminosa scatola filtro posizionata sotto la sella, “servita” da un elemento in spugna sintetica imbevuto di olio. La struttura del motore è invariata, con testa e cilindro in lega leggera e camicia in ghisa; la camera di scoppio ripropone la conformazione “a pera” introdotta già sulle prime Sherpa per migliorare la combustione; il cilindro offre sempre due travasi supplementari per ottimizzare la risposta in basso. In quest’ottica il volano magnete (sul lato sinistro del motore) è piuttosto pesante ed è abbinato ai due volani dell’albero motore e, sul lato destro, a due volantini tra i quali è montato il pignone della primaria a catena, con tenditore a molla che evita giochi a favore della linearità di risposta. La testa ha la predisposizione per il decompressore che nel Trial dell’epoca è una soluzione comoda nelle lunghe discese, come aiuto ai freni non certo portentosi. In realtà, i tecnici Bultaco consigliano di limitarne l’uso, in quanto l’ingresso repentino di aria fredda ed eventualmente anche di sporcizia potrebbe danneggiare il motore. Il cilindro utilizza sempre l’alettatura distanziata e frastagliata per facilitare il raffreddamento ed evitare distorsioni, ma ora le alette sono collegate da strisce di gomma sintetica destinate a smorzare le vibrazioni e la rumorosità. Sotto questo aspetto, un grosso lavoro lo svolge anche l’impianto di scarico detto “a boomerang”, evoluzione di quello introdotto sulla Sherpa T 250, modello 80, del 1971-72. Dispone di due silenziatori, uno centrale e l’altro integrato nel terminale, e offre un risultato davvero eccellente. Da segnalare che il collettore è ancorato al cilindro a mezzo di mollette a dir poco… robuste: provare (a levarle e a metterle) per credere! La leva del cambio è sempre a destra, ma grazie all’albero che attraversa tutto il motore può essere spostata sulla sinistra: così facendo, la leva del freno passa a destra e adotta un contorto leveraggio che consente di raggiungere l’asta di comando del tamburo sul lato opposto. In tema di comandi, cambiano anche le leve al manubrio, ora realizzate in lega di alluminio abbastanza malleabile che consente di raddrizzarle (almeno parzialmente) in caso di caduta. Dispongono di montaggio a braccialetto e la zona dei fulcri e dei registri è protetta da apposite cuffie in gomma che preservano la lubrificazione anche in condizioni climatiche estreme: una raffinatezza che mostra la cura posta nello sviluppo della moto. Criticabile, invece, l’acceleratore in nylon che “lancia” il cavo verso l’anteriore, trasformandolo in un lazo pronto ad impigliarsi in qualche ramo con le relative conseguenze. Interessante il pulsante di massa indipendente che consente di smontare agevolmente tutto l’impianto elettrico per l’impiego in gara: tra l’altro il faro dispone di attacchi in gomma e cavi con spine ad innesto/disinnesto rapido. Curiosamente, il piccolo tachimetro-contachilometri è sempre montato davanti al carter sinistro del motore, in posizione di difficile lettura e piuttosto esposto agli urti: sarà spostato al manubrio sulla successiva versione, siglata 183. Infine le sovrastrutture. Qui cambia tutto, pur nel rispetto della ormai consolidata tradizione stilistica della Casa spagnola, orientata verso soluzioni funzionali e molto personali, che mixano la creatività e le esigenze estreme delle gare. Rispetto alla precedente serie - come anticipato la versione 151 “di passaggio” del 1975 con parafanghi in plastica - viene abbandonata la soluzione del monoblocco serbatoio-sella, in favore di una impostazione più tradizionale con parti separate, caratterizzate dal bellissimo serbatoio in vetroresina, accuratamente sintonizzato alla sella; nella vista dall’alto, sia il primo sia la seconda si rastremano decisamente nella zona delle pedane, agevolando gli spostamenti. Le due fiancatine laterali - sempre in vetroresina - completano il tutto, mentre un tocco di eleganza è dato dai parafanghi in alluminio lucidato.

In produzione fino al 1977

Nella sua carriera che dura sino al 1977 la Sherpa T 350 (che da 159 cambia poi codice in 183 e 191 senza radicali interventi) è venduta in oltre 2.700 unità, alle quali vanno aggiunte le quasi 3.500 di 250 cc. Non è certo la Bultaco da Trial più venduta (il record se lo aggiudicherà la 199A con 6.915 unità dal 1978 al 1980), ma è quella che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia. Dopo, nel 1977 arriva la 199: il telaio deriva dalla 159, ma le sovrastrutture sono ridisegnate e realizzate in materiale plastico rosso (verrà prodotta in 5.960 esemplari). La loro linea verrà ripresa sulla citata 199A in produzione dall’ottobre 1978 che, oltre ad adottare il colore azzurro, ha il nuovo telaio aperto inferiormente con piastra in alluminio. La 199A è la degna erede della 159 quanto a risultati: è iridata con Vesterinen (che precede i compagni Lampkin e Schreiber) e regala alla Bultaco il suo ultimo Mondiale, nel 1979 con Bernie Schreiber. Ma è anche l’ultima Bultaco veramente competitiva. La versione azzurra e telaio bianco del 1981 (la 199B) con motore di 340 cc e cambio 6 marce non viene di fatto sviluppata per una serie di problemi eccomici che investono la fabbrica (Vesterinen sarà comunque 2° nel Mondiale 1980 e 3° nel 1981) e che porteranno nel 1983 alla chiusura della Casa di Barcellona. Con grande rimpianto per tutti gli appassionati.

Caratteristiche tecniche

Motore: a 2 tempi, monocilindrico verticale raffreddato ad aria, testa e cilindro in lega leggera e camicia in ghisa; alesaggio per corsa 83,2x60 mm, cilindrata 326,23 cc. Distribuzione regolata dal pistone. Rapporto di compressione 9:1. Potenza max 18,5 CV a 6.000 giri, coppia max 2,6 kgm a 4.000 giri. Accensione: con volano magnete alternatore Femsa VAR 41-52 sulla sinistra dell’albero motore e bobina AT esterna. Distanza tra i contatti 0,33-0,35 mm; anticipo max 2,8-3,0 mm sulla corsa del pistone. Candela grado termico 160 scala Bosch a filetto lungo con distanza fra gli elettrodi di 0,35-0,45 mm (alternative Bosch W 160 T 30, Champion N-11Y, Firestone F-27LP, Lodge CLNY, KLG FE 55P). Lubrificazione: trasmissione (primaria a catena) 300 cc olio SAE 30; cambio 500 cc olio SAE 90. Alimentazione: miscela benzina e olio SAE 40 al 5% oppure 4% utilizzando olio speciale da gara (oggi con i sintetici si scende fra l’1,8 e il 2%). Capacità serbatoio carburante 6,5 litri. Carburatore Bing T/84, diffusore da 28 mm, getto massimo 125, getto minimo 35-65; polverizzatore 273, ago alla prima o seconda tacca. Frizione: multidisco in bagno di olio, nello stesso vano della trasmissione primaria a catena. Cambio: a cinque rapporti con ingranaggi scorrevoli e innesti a denti frontali. Comando a pedale sulla destra, spostabile sulla sinistra. Rapporti interni: 0,263:1 in prima, 0,342:1 in seconda, 0,442:1 in terza, 0,723:1 in quarta, 1:1 in quinta. Trasmissioni: primaria a catena da 3/8”x0,295 in bagno di olio, rapporto 2,375:1 (denti 16/38); finale a catena Joresa Spezial 55 da 5/8”x0,255, rapporto 4,181 (pignone 11denti, corona 46). Telaio: monotrave a culla chiusa, sdoppiata sotto il motore, in acciaio al cromo-molibdeno. Sospensioni: anteriore forcella telescopica idraulica Telesco a perno avanzato da 165 mm di escursione; 180 grammi di olio SAE 10 per ogni stelo. Posteriore con forcellone oscillante e due ammortizzatori teleidraulici Betor a molle scoperte da 100 mm di escursione, regolabili su tre carichi di molla. Ruote: cerchio anteriore in alluminio 1,6x21” con pneumatico 2,75-21”: pressione 0,35 atm per il Trial, 1,0 atm su strada; cerchio posteriore in alluminio 1,85x18” con pneumatico 4,00-18”: pressione 0,28 atm per il Trial, 1,0 atm su strada. Freni: anteriore e posteriore a tamburo laterale monocamma da 125x25 mm, con mozzo in lega leggera e piste cromate per le guarnizioni di attrito. Impianto elettrico: a 6V con volano magnete alternatore da 40W; faro con lampada da 35/35W, fanalino posteriore con lampada da 4,5W e stop da 18W. Dimensioni (in mm) e peso: interasse 1.315, lunghezza 2.005, larghezza 840, altezza manubrio 1.095, altezza sella 825, altezza minima da terra 315 mm, altezza da terra filtro aria 650. Peso a vuoto 92,5 kg (42 ant + 51,2 post).

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