21 April 2023

Ducati 900 SS: una belva di buone maniere...

Questo il commento dei tester di Motociclismo nel 1977, al termine della prova di questa bicilindrica. E’ stata l’ultima supersportiva Ducati con distribuzione a coppie coniche di grande successo ed è rimasta in produzione per cinque anni

A metà degli anni Settanta la gamma dei modelli Ducati che raggiungono le vetrine dei concessionari non è esente da critiche. Da una parte ci sono le mitiche Scrambler e i monocilindrici Desmo e Sport, che sono però agli sgoccioli della carriera. Dall’altra ci sono le 750 di impostazione sportiva nate sull’onda del successo alla 200 Miglia di Imola del 1972, moto indirizzate ad una utenza sportiva che si vendono in quantitativi limitati. Lo stesso discorso vale anche per la più turistica e tranquilla GT 750. Per rimediare a questa difficile situazione i vertici dell’azienda approvano due distinti progetti in grado di colmare le lacune del listino entro un paio di stagioni. Il primo è quello delle bicilindriche parallele GTL 350 e 500 che vedranno la luce nel 1976. Il secondo invece riguarda una nuova granturismo di grossa cilindrata in grado di sostituire la GT 750 - anch’essa a fine carriera - che prenderà le forme della 860 GT.

Il design delle nuove moto viene commissionato allo studio Italdesign di Giorgetto Giugiaro che proprio in quegli anni (nel 1974) ha appena sfornato la Volkswagen Golf. Ma come spesso accade nella storia delle due ruote, l’idea di rivolgersi ad un affermato designer in campo automobilistico non si rivela una scelta azzeccata, perché la linea delle nuove moto, spigolosa e massiccia, fin dalle prime apparizioni desta molte perplessità fra pubblico ed addetti ai lavori.

Design ripreso dalla Super Sport 750

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L'interasse della 900 SS è di 1.510 mm contro i 1.1470 mm di una concorrente come la Moto Guzzi Le Mans. Sulla bilancia la situazione cambia: 198 kg contro i 210 kg della Le Mans

Per conquistare i motociclisti c’è bisogno di altro, è necessario far presa sul lato emozionale dei motociclisti e se da un lato si vogliono percorrere strade nuove ricche di insidie, dall’altro bisogna mantenere viva l’immagine sportiva del Marchio Ducati, magari con un inedito modello sportivo che affianchi la Super Sport 750, vera Superbike stradalizzata ante litteram.

È da questo semplice ragionamento che nel 1975 nasce la 900 Super Sport con cui la Ducati, senza eccessivi sforzi progettuali e attingendo alla propria tradizione sportiva, centra l’obiettivo. La linea della nuova moto riprende ovviamente quella della splendida Super Sport 750 arrivata sul mercato nel 1973 dopo la strabiliante vittoria di Paul Smart alla 200 Miglia di Imola dell’anno prima.

A prima vista le due moto sono quasi identiche, fatta eccezione per alcuni dettagli cromatici e ovviamente per la scritta sui fianchetti che riporta la cilindrata. Il motore però non è una semplice maggiorazione di quello della SS 750, ma deriva da quello montato sulla 860 GT. “Carter quadri”: così è comunemente chiamato dagli appassionati, per distinguerlo dal “carter tondi” che caratterizzava i vecchi 750.

Ma le differenze non si limitano ai dettagli. Il bicilindrico raffreddato ad aria con alesaggio per corsa di 86 x 74,4 mm e cilindrata totale di 863,9 cc ha lo stesso basamento e i medesimi cilindri della 860 GT, ma se quest’ultima ha alla distribuzione le classiche molle per il richiamo valvole (scelta dettata dal contenimento dei costi di produzione), la Super Sport vanta l’esclusivo e raffinato sistema desmodromico, irrinunciabile su una Ducati con le corse impresse nel DNA! Aumenta anche il rapporto di compressione, che passa da 9,2:1 a 9,5:1.

Ovviamente su una supersportiva essenziale come la 900 SS viene eliminato l’ingombrante e antiestetico avviamento elettrico in favore della classica pedivella. Basta un calcio ben assestato per dar vita al bicilindrico. Oltretutto il motorino di avviamento montato sulla 860 GT ha un complesso sistema d’innesto su corona a denti dritti e catena che lavora in bagno d’olio. Il sistema si trova sul lato sinistro del motore e ne rovina l’estetica a causa del grosso e sgraziato carter squadrato. L’alimentazione è assicurata da una coppia di carburatori Dell’Orto PHM con diffusore da 40 mm. Scelta dall’ing. Taglioni per il perfetto bilanciamento, la configurazione a 90° del bicilindrico non è vittima di eccessive vibrazioni e il motore, lineare e deciso tra i 3.000 e gli 8.000 giri, spinge corposo sin dai regimi più bassi. Non per niente gli viene affibbiato il nomignolo di “pompone”! Anche l’allungo è buono e snocciolando tutte le marce si arriva a vedere la lancetta del tachimetro sfiorare quota 225 km/h! Abbastanza per lasciarsi alle spalle praticamente tutte le altre maxi del tempo. A fronte di tali brillanti prestazioni, il consumo medio si attesta intorno ad un onesto 14 litri/km, che garantisce lunga autonomia di percorrenza. E per fermarsi? Tre dischi forati (da 280 mm l’anteriore e 229 mm il posteriore) serviti da pinze Brembo garantiscono spazi d’arresto degni di una vera sportiva.

Il telaio è un altro grande pregio della Super Sport. Il razionale intreccio di tubi d’acciaio definisce un doppia culla aperta alla quale è appeso il motore. Il traliccio non ha ancora fatto la sua comparsa e questa soluzione lascia in bella vista il propulsore, con in più il vantaggio di un rapido e facile accesso alle parti meccaniche per la manutenzione. Il forcellone oscillante, con i pratici registri della tensione della catena a slitta, lavora con una coppia di ammortizzatori idraulici con precarico molla regolabile su cinque posizioni. Davanti invece troviamo una forcella Marzocchi da xx mm. Splendidi anche i cerchi in alluminio Borrani Record da 18 pollici che calzano pneumatici da 3,50 e 4,60, rispettivamente all’anteriore e al posteriore.

Ciclistica al top

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La prova di Motociclismo nel marzo del 1977: nei test alla pista Pirelli partecipa anche Mimmo Cazzaniga, affermato pilota Senior di quegli anni  

L’evidente parentela con la 750 SS fa si che anche la nuova maxi erediti dalla sorella minore tutte le ottime qualità dinamiche e l’indiscusso fascino estetico, aggiungendo un po’ di coppia e potenza al motore.

Il che non guasta, soprattutto agli occhi degli appassionati più “smanettoni” perché fin dalla sua prima apparizione la nuova Super Sport deve vedersela con una concorrenza molto agguerrita. Nel 1975 le inglesi sono già fuori dai giochi, quindi la battaglia si svolge in casa contro le altre sportive italiane: la Moto Guzzi Le Mans 850 e la Laverda 1000 tre cilindri. Sul fronte giapponese invece la Honda CB750 Four, la Kawasaki Z1 900 (e la successiva Z1000) accusano sulla bilancia qualche chilo di troppo e hanno una ciclistica non irreprensibile, mentre la Suzuki GT750 e la prima GS 750 quattro cilindri a 4 tempi sono di impostazione troppo turistica.

Dal punto di vista del peso e della ciclistica la Super Sport 900 ha invece pochi rivali: è l’unica maxi del periodo a rimanere sotto i duecento chili. Il misto veloce è il suo terreno di caccia preferito e la pista è certamente alla sua portata. A tal proposito anche per la SS 900 è proposto un kit studiato appositamente per poter utilizzare la moto nelle numerose gare per derivate di serie degli anni Settanta. Oppure per lasciare indietro gli altri negli “ingarellamenti” tra amici… Se l’ineccepibile ciclistica rimane inalterata, al motore sono dedicate molte parti speciali per strappare ancora qualche cavallo: scarichi aperti, alberi a camme dal profilo più spinto, getti e spilli per i carburatori. A questi si può aggiungere anche un radiatore dell’olio con relativi raccordi e tubazioni e per finire una carena in vetroresina più estesa e protettiva del cupolino originale, studiata apposta per fendere meglio l’aria alle alte velocità.

Lo scotto da pagare è una certa mancanza di agilità e comfort nell’uso in città, ma chi ama questo genere di moto non le usa certo per andare in vacanza o in ufficio e poi la SS 900, definita nella prova di Motociclismo del 1977 “una belva di buone maniere”, è certo meno scorbutica di altre sportive dell’epoca.

A differenza degli altri modelli della svolta disegnati a metà degli anni Settanta da Giugiaro, la Ducati 900 SS verrà prodotta per altri cinque anni in quattro serie diverse e da una sua “costola” sportiva, come spieghiamo più avanti prenderà vita la Mike Hailwood Replica uno dei modelli Ducati più mitizzati della fine degli anni Settanta.

Serie e dati di produzione

1ª serie: presentata al Salone di Milano 1975, resta in produzione fino alla fine del 1976. Riprende la stessa veste grafica della SS 750 ma con colorazione invertita del cupolino (blu con banda grigia). Numero di esemplari prodotti: 1.266.

2ª serie: prodotta per tutto il 1977 in 633 esemplari. É del tutto simile alla prima versione, cambiano la forma del serbatoio e le sue grafiche mentre il cupolino presenta due svasi per gli indicatori di direzione che vengono montati successivamente. Nel corso della produzione di questa serie cambiano i silenziatori di scarico.

3ª serie: sostituisce la seconda serie a partire dal 1978 e resta in listino per due anni. Per la prima volta è proposta nelle versioni monoposto e biposto, quest’ultima piuttosto bruttina. Ha le ruote in lega color oro ed è colorata in enro con fregi oro. La versione monoposto ha le pinze freno Brembo verniciate in oro. Numero di esemplari prodotti: 2.704.

4ª serie: nuove modifiche per l’ultima serie della 900 SS che in listino viene affiancata dall’esclusiva MHR Replica. La SS ha nuove colorazioni, nuovo codino nella versione biposto e nuove ruote in lega con le razze dritte, ma sempre verniciate color oro. Colorazione: argento con filetti blu e azzurri su serbatoio, codone e cupolino. Numero di esemplari costruiti: 1.500. Una curiosità: nell’ultimo anno di produzione vengono allestiti solo 335 esemplari, tutti per il mercato europeo.

Un disegno in trasparenza della 900 SS Super Sport terza serie monoposto nella classica versione grigio blu

Caratteristiche tecniche (riferite alla versione del 1977)

Motore: bicilindrico a 4 tempi longitudinale a V di 90°. Teste e cilindri in lega leggera con canne riportate in ghisa. Alesaggio per corsa 86x74,4 mm. Cilindrata totale 863,9 cc. Rapporto di compressione 9,5:1, distribuzione desmodromica monoalbero in testa comandato da albero con coppie coniche a denti elicoidali. Due valvole per cilindro (ø valvole aspirazione XX mm; ø valvola di scarico XX mm). Lubrificazione: a carter umido con pompa ad ingranaggi di mandata e recupero. Capacità 4,5 kg di olio nella coppa. Alimentazione: due carburatori Dell’Orto PHM ø 40 mm. Accensione: elettronica Dansi. Trasmissione: primaria ad ingranaggi. Finale a catena. Frizione: multidisco in bagno d’olio. Cambio: a 5 marce. Telaio: a doppia culla aperta in tubi d’acciaio. Sospensioni: anteriore forcella teleidraulica da xx mm; forcellone oscillante con due ammortizzatori idraulici regolabili. Freni: anteriore a doppio disco da 280 mm con pinze Brembo a doppio pistoncino; posteriore a disco da 229 mm con pinza Brembo a doppio pistoncino. Ruote: a raggi con cerchi in lega leggera da 18”. Pneumatici: anteriore 3.50-18; posteriore 4.60-18”. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza massima 2.210, interasse 1.510, larghezza massima 670, larghezza manubrio 670, larghezza pedane pilota 590, altezza massima 1.220, altezza manubrio alle manopole 860, altezza sella 775, altezza pedane 370, luce a terra 175. Peso a secco 196 (ant. 91kg; post. 105) Prestazioni: velocità max 225 km/h. Consumo medio 14km/litro. (Dati rilevati nella prova di Motociclismo del marzo 1977).

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