26 April 2023

Ducati Scrambler 450: ti amo... o ti odio

Ideata per il mercato americano, la Scrambler si impone anche in Italia e diventa la moto più anticonformista della sua epoca. La 450, in produzione dal 1969 al 1975, è la versione più ambita, ieri come oggi. Una moto di forte personalità, estetica come dinamica, ma non facile: vibra forte, è difficile da avviare e complicata da mettere a punto. Richiede quindi grande amore, altrimenti la si detesta

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Negli anni Sessanta i fratelli Joseph e Michael Berliner, tedeschi emigrati negli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, erano proprietari dell’omonima società Berliner Motor Corporation, importatrice di successo di svariati marchi di motociclette europee, anche italiane.

Il rapporto di stretta collaborazione con la Ducati, cominciato nel 1958, portava l’importatore a influenzare la produzione destinata al mercato USA della Casa bolognese, la quale, da sempre attenta agli affari oltre confine, assecondava le richieste dei Berliner.

Tali disposizioni non si limitavano all’equipaggiamento degli accessori, come spesso avviene per i modelli d’esportazione, ma si trattava di vere e proprie scelte stilistiche e tecniche, come nel caso estremo del progetto dell’Apollo 4 cilindri a “L” di 1.260 cc che l’importatore americano contribuì persino a finanziare, ma che non andò oltre lo stadio di prototipo (vedi Motociclismo d’Epoca n. 6-2001). Anche lo sviluppo dei modelli Scrambler nacque dall’esigenza di soddisfare il mercato USA proponendo una motocicletta in grado di percorrere agevolmente sia le strade asfaltate sia gli sterrati. Proseguendo lo sviluppo dei precedenti modelli 175 e 200 Motocross che avevano avuto un discreto successo negli States, nel 1962 entrò in produzione la prima Scrambler 250, originalissima antesignana delle moto tutto-terreno (ne abbiamo parlato sul n. 6-2004). In quel periodo la Ducati stava attraversando un momento difficile: la vendita dei modelli a due tempi di 50 cc e dei 125 a quattro tempi con distribuzione ad aste e bilancieri non dava i risultati sperati e solo la linea di produzione dei monocilindrici monoalbero permetteva all’azienda di sostenersi economicamente.

1967: debutta il motore a “carter larghi”

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La Scrambler nel frattempo si era evoluta e dal 1967 acquistò uno stile ancor più adatto ai gusti yankee e si offrì anche nella cilindrata di 350 cc, il primo modello ad introdurre il nuovo motore detto a carter larghi. Proprio con la Scrambler la Casa di Borgo Panigale dimostrò di non aver paura di uscire dagli schemi della sua tradizionale produzione e ne fu premiata.

Il 1969 vide il debutto della 450 (chiamata Jupiter negli USA) che diventò subito la versione più ambita e la nuova motocicletta, pensata per il tempo libero, tanto diversa e originale, leggera e dai colori vivaci, sembrava rappresentare al meglio lo spirito di cambiamento e di libertà che andava diffondendosi tra i giovani.

In quell’anno tutte le monocilindriche Ducati vennero dotate del nuovo propulsore a carter larghi. Esteticamente la Scrambler 450 era del tutto simile alle versioni di cilindrata inferiore (250 e 350 cc), ma il nuovo motore, più potente, aveva richiesto un intervento d’irrobustimento generale del telaio. Altre differenze riguardavano le componenti della trasmissione finale (pignone, corona e catena), la frizione con molle di maggior carico e, almeno all’inizio, la scatola del filtro dell’aria in sostituzione del filtro a paglietta metallica.

Nel corso della sua brillante carriera commerciale la Scrambler 450 rimase fedele a sé stessa e gli aggiornamenti furono contenuti. Nel 1971 venne montata una forcella appena più lunga (da 515 a 540 mm), mentre dal 1973 beneficiò di nuove sospensioni Marzocchi, un faro più moderno, cerchi in alluminio, freno anteriore a quattro ganasce e accensione elettronica (in realtà già disponibile a fine 1972). Gli ultimi esemplari vennero assemblati nel 1975 e il totale prodotto ammonta a oltre 10.000 esemplari, cifra che conferma il successo di questo particolare modello.

La Scrambler, e soprattutto la 450, si offre con un incredibile fascino estetico cui è difficile resistere. Poi ha un telaio di prim’ordine abbinato a sospensioni funzionali che garantiscono una guida molto agile e sicura sui percorsi misti, dove peraltro emergono le doti del monociclindrico monoalbero che offre una erogazione vigorosa e una ottima prontezza ai richiami dell’acceleratore. Non è particolarmente potente (la Casa dichiarava 27 CV), ma la moto è assai leggera (145 kg con il pieno) e quindi ne consegue un favorevole rapporto kg/CV. Il rovescio della medaglia è rappresentato dai difetti congeniti di questa moto. Li possiamo sintetizzare nella frequente e difficile manutenzione ordinaria, nelle elevate vibrazioni e nell’avviamento impegnativo. Nei racconti di chi l’ha avuta in passato hanno il sopravvento gli eventi più spiacevoli (dalle frequenti sbiellate al clamoroso caso della pedivella che in fase di avviamento esce dalla sua sede e vola contro il vetro di una finestra, frantumandolo...), ma c’è anche il ricordo della sua bellezza e di una guida di gran gusto.

Evoluzione della specie

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La primissime Scrambler per l’Italia e gli USA sono state prodotte in pochi esemplari e sono oggi praticamente introvabili

Le Scrambler a carter larghi vengono ufficiosamente classificate in due serie: la prima identifica i modelli prodotti dal 1968 al 1973, la seconda serie quelli dal 1973 fino a fine produzione nel 1975.

Le differenze che caratterizzano le due serie sono dovute a un aggiornamento, in parte estetico e in parte tecnico, che portò alla sostituzione di diversi elementi: la forcella, gli ammortizzatori, il fanale anteriore, i freni e i fianchetti che, divenuti rigidi, presero il posto delle precedenti borse portaoggetti.

Queste sono le modifiche più evidenti di una serie di cambiamenti succedutisi nel tempo ma, a parte la generica classificazione di prima e seconda serie, non dobbiamo aspettarci un cambiamento netto dei modelli che sia associabile a una data o a un numero di telaio identificabili con precisione. Le modifiche vennero infatti introdotte un po’ alla volta durante tutta la produzione.

A confondere un po’ la situazione concorre il fatto che, in quegli anni, la Ducati assemblava le motociclette utilizzando lotti di fornitori differenti per gli stessi accessori. Oggi è quindi facile imbattersi in modelli che hanno l’aspetto della seconda serie, ma alcuni componenti della prima e viceversa.

Tenendo presente quanto sopra, proviamo a riassumere le principali varianti succedutesi durante l’intera produzione.

La Scrambler 450 nasce nel 1969 con lo stesso telaio dei modelli di minor cilindrata, ma vistosamente rinforzato. Monta un ampio filtro dell’aria alloggiato in una scatola di forma circolare incastonata tra i tubi centrali del telaio, sotto la sella. La forcella è una Marzocchi con foderi in alluminio e gli steli coperti da soffietti di gomma. Nella parte superiore, sugli steli, tra le due piastre di sterzo, sono infilati i supporti del grande fanale anteriore. Anche la coppia di ammortizzatori, sempre Marzocchi, adotta analoghi soffietti parapolvere. Il fanalino posteriore è un CEV con il portalampada d’alluminio di forma rettangolare. La sella ha la copertura liscia e la scritta Ducati bianca stampata sulla parte posteriore. Il silenziatore di scarico è il nuovo modello tagliato a fetta di salame; sostituisce il precedente silenziatore cosiddetto a sigaro già montato sulle altre Scrambler e si poteva avere in versione lunga o corta.

Nel 1972 il fanalino posteriore viene sostituito con un modello di forma rotonda, il cui supporto, nella parte superiore, è ancorato direttamente al parafango anziché all’archetto del telaio come nei modelli precedenti. Tra la fine del 1972 e i primi mesi del 1973, è introdotta l’accensione elettronica. Ve n’erano di due tipi: Motoplat e Ducati. Questo sistema d’accensione, a differenza del precedente con spinterogeno, permette di avviare il motore anche in assenza della batteria, in quanto alimentato direttamente da una bobina presente nel generatore. Nel 1973, come anticipato, vengono sostituiti gli ammortizzatori - ora a molla scoperta - e la forcella (sempre Marzocchi) a steli nudi e con i foderi verniciati di color nero. Anche gli originali supporti tubolari del fanale sono eliminati. Il nuovo fanale CEV, cromato e più sottile, è fissato agli steli della forcella tramite fascette di gomma dallo stile più off-road. Il freno anteriore passa da singola a doppia camma con quattro ganasce. Sotto la sella compaiono due nuovi fianchetti in vetroresina verniciata che coprono il filtro dell’aria (a destra) e il vano porta attrezzi (a sinistra). Sempre nello stesso anno sono montati i cerchi Borrani in lega d’alluminio al posto dei precedenti d’acciaio cromato. Verso la fine della produzione (1974) per migliorarne l’affidabilità, viene cambiata la biella con il modello utilizzato sui motori Desmo di quel periodo; l’interasse è lo stesso, ma la testa è da 22 mm anziché da 18 mm.

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Il 450 si riconosce subito dagli altri per il numero di alette (10)

Caratteristiche tecniche Scrambler 450 prima serie

Motore: a 4 tempi, monocilindrico inclinato in avanti di 10°, alesaggio per corsa 86x75 mm, cilindrata 436 cc, cilindro in alluminio con canna in ghisa, rapporto di compressione 9,3:1, distribuzione monoalbero in testa con comando ad alberello e coppie coniche, due valvole inclinate fra loro di 80°, diametro aspirazione 40 mm, scarico 36 mm, diagramma di distribuzione aspirazione 27°-75°, scarico 60°-32°, gioco tra valvole e bilancieri per la messa in fase 0,10 mm, gioco normale a motore caldo 0,05 mm aspirazione e 0,10 mm scarico, raffreddamento ad aria, avviamento a pedale. Accensione: a spinterogeno comandato da un rinvio di ingranaggi sul lato destro; anticipo parzialmente automatico a fermo 0°, a 3.000 giri 28°, distanza tra i contatti 0,30-0,40 mm, candela Marelli CW 260 N, distanza tra gli elettrodi 0,60 mm. Lubrificazione: a carter umido con pompa ad ingranaggi. Capacità coppa 2,2 kg di olio Sae 40 da sostituire ogni 2.000 km. Alimentazione: un carburatore Dell’Orto VHB 29 AD, polverizzatore 260 T, getto max 130, getto min 50, valvola gas 60, spillo conico V7/11. Capacità serbatoio della benzina 11 litri di cui 1,6 di riserva. Trasmissioni: primaria a ingranaggi elicoidali sulla sinistra, rapporto 2,111 (27/57), finale a catena da 97 maglie 5/8”x3/8”, rapporto 2,916 (12/35).

Frizione: a dischi multipli in bagno d’olio. Cambio: a cinque marce, in blocco col motore, comandato da leva singola sulla destra con la prima in alto. Valore rapporti interni: 2,46 in prima, 1,73 in seconda, 1,35 in terza, 1,10 in quarta, 0,97 in quinta. Telaio: in tubi d’acciaio a culla semplice aperta con il motore fungente da elemento inferiore. Sospensioni: Marzocchi, anteriore forcella teleidraulica, 180 cc di olio Agip F1 Rotra ATF; posteriore forcellone oscillante con due ammortizzatori teleidraulici regolabili su tre posizioni di molla. Ruote: cerchi in iacciaio a raggi da 2,50x19 ant e 3.00x18 post, pneumatico ant 3,50-19, post 4.00-18 post, pressione di gonfiaggio 2,25 atm ant e post. Freni: anteriore a tamburo centrale monocamma da 180 mm, posteriore a tamburo centrale monocamma da 160 mm. Impianto elettrico: alimentato da volano magnete alternatore 6V/70W con batteria da 6V/13,5Ah, lampada abb/anabb da 25/25W-6V, lampada luce città 3W-6V, lampada stop 15W-6V, lampada targa 3W-6V. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 2.120, larghezza manubrio 940, interasse 1.380, altezza sella da terra 770, altezza da terra pedane 280, altezza minima da terra 180. Peso in ordine di marcia 145 kg. Prestazioni dichiarate: velocità massima nelle singole marce: 45 in prima, 65 in seconda, 85 in terza, 110 in quarta, 130 km/h in quinta. Accelerazione 0-400 m in 14,6 sec. Consumo benzina 4,6 litri per 100 Km (CUNA), autonomia 240 km.

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