Guazzoni Matacross 50: che matta!

Tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio del decennio seguente, il Matacross è uno dei 50 cc da fuoristrada più desiderati dai ragazzi ed è l’unico con il motore a disco rotante. La sua storia ci permette di scoprire quanto artigianale fosse l’azienda milanese

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Pietro Regazzetti è uno dei pochi testimoni oculari dei fatti avvenuti nell’ultimo periodo di vita della Guazzoni perché vi ha lavorato fino al 1974, quindi quasi alla chiusura. Ha iniziato come apprendista con grande passione, vivendo gioie e dolori della Casa milanese, che allora si trovava in via Altaguardia 6, non lontano dal centro della città. Il suo compito principale era assemblare le moto, che venivano costruite una ad una non essendoci una vera e propria catena di montaggio.

Oltre alla sua esperienza lavorativa, Regazzetti è col tempo diventato uno dei maggiori esperti di Guazzoni, collezionando non solo moto, ma anche ogni tipo di documentazione storica, che fosse un semplice depliant, un disegno tecnico o una componente meccanica. Questa volta dunque lasciamo la parola ad un testimone dei tempi per raccontare la genesi e lo sviluppo del Matacross, uno dei più interessanti e personali modelli da 50 cc prodotti.

Bisogna ricordare che Aldo Guazzoni preferiva sicuramente la velocità, piuttosto che il fuoristrada, ma i tempi e i gusti dei giovanissimi stavano velocemente cambiando, spingendo la Casa di Milano verso altri segmenti. A quanto pare Guazzoni non perse tempo...

La base è la Matta da strada

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Data la posizione del carburatore, sul fianco sinistro dove si trova la valvola rotante, lo scarico esce rettilineo da dietro il cilindro ed è un’altra caratteristica che anche esteticamente caratterizza questa 50 cc. La forcella è una Ceriani dotata, come spesso si usava all’epoca, di soffietti parapolvere, mentre gli ammortizzatori, su questa prima versione, sono dei Sebac idraulici

“Sicuramente. Alla fine del 1965 nasceva il primo ciclomotore da fuoristrada prodotto da Guazzoni sostanzialmente per il forte interesse del mercato giovanile verso questi modelli. Come facevano tutti all’epoca, in pratica si prendeva il modello da strada, nel nostro caso la Matta, e lo si modificava montando le gomme artigliate, un manubrio più largo e i parafanghi alti sulle ruote. Il motore restava lo stesso, quindi con la valvola rotante per l’aspirazione, caso unico nella produzione italiana. In realtà questa soluzione tecnica si rivelerà un po’ azzardata per il fuoristrada, in quanto più delicata, complessa e costosa da realizzare rispetto ad una comune aspirazione diretta nel cilindro come nei motori Minarelli e Franco Morini, che allora andavano per la maggiore sui ciclomotori. Anche il telaio, proprio perché concepito per l’uso pista/strada, era piuttosto fragile su questa prima versione”.

Iniziamo allora con lo svelare gli uomini che stavano dietro questo progetto. Sia per il motore sia per la ciclistica come per il design.

“Il motore era quello della Matta stradale ed era firmato da un disegnatore progettista esterno di cui non ricordo il nome, ma l’ispiratore fu Aldo Guazzoni, che nutriva una grande ammirazione per la DKW e soprattutto per la MZ della Germania dell’Est, in quegli anni maestra del due tempi a disco rotante grazie alle sue moto da competizione. Alla Guazzoni non c’era un vero ufficio tecnico, o meglio, il locale attrezzato di tecnigrafo e altro c’era, ma non una persona che vi lavorava costantemente, diciamo a tempo pieno. A seconda delle esigenze venivano chiamati uno o più ex-collaboratori o conoscenti di Aldo Guazzoni che si prestavano alle sue richieste. Spesso le consulenze avvenivano la sera o la domenica, quando questi tecnici erano liberi dai loro impegni lavorativi quotidiani. A volte per praticità, se il lavoro richiedeva più giorni, si fermavano a dormire in una dependance della casa di Aldo Guazzoni, arredata alla bisogna. C’è anche da ricordare che Rinaldo Guazzoni, uno dei tre figli di Aldo, dava il suo contributo tecnico, in quanto correva con i go-kart di Parilla che all’epoca utilizzavano con successo i motori a disco rotante.

Estetica e ciclistica di Giuseppe Guazzoni

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Gli esemplari della prima serie sono tutti dotati di collettore di scarico rigido, alternativo a quello flessibile in acciaio (che sfiatava)

La ciclistica e l’estetica invece erano compito pressoché esclusivo di Giuseppe ‘Peppino’ Guazzoni, allora trentenne, altro figlio del signor Aldo. Aldo Guazzoni infatti si è sempre interessato moltissimo della parte motoristica più che della ciclistica delle sue moto, tanto è vero che la sua ‘location’ preferita era la sala prova motori. Peppino era un grande appassionato di gare di Regolarità ed Audax, dove correva con discreti risultati, e difatti fu lui a sviluppare sia il Matacross, sia la 125 da Regolarità fino alla RM 72. Oltre che pilota, Peppino era anche Presidente del Moto Club Madonnina di Milano, per cui molto addentro in quelle che erano le tendenze e i desideri dei giovani. Aldo Guazzoni invece non amava il fuoristrada, preferendo di gran lunga la strada, i record e le competizioni in pista. Tra lui ed il figlio a volte nascevano discussioni animate sulla produzione, perché Peppino voleva seguire le richieste del mercato, che chiedeva sempre più modelli da Cross e Regolarità rispetto alle versioni stradali. Il problema stava però nelle ridotte capacità produttive.

Tra il ’68 e il ’71 fino a 6 mesi di attesa

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Arnaldo Farioli, alla fine degli anni Sessanta uno dei migliori regolaristi italiani, ed in seguito fautore del successo della KTM in Italia, ha contribuito allo sviluppo del telaio del Matacross seconda edizione. Nelle due pubblicità del 1967 è impegnato con il Matacross Special 6 marce indossando una ‘mise’ per la verità non proprio professionale... 

Nel periodo d’oro del Matacross, tra il 1968 ed il 1971, dall’ordine alla consegna potevano passare anche sei mesi! Difficile che un ragazzino alla prima moto aspettasse tutti quei mesi, così spesso dopo un po’ gli ordini venivano annullati. Oltre che seguire lo sviluppo delle moto da fuoristrada, Peppino lavorava al montaggio delle stesse. Non bisogna pensare alla Guazzoni come ad una fabbrica vera e propria, perché tra la fine degli anni Sessanta ed i primi del decennio successivo, eravamo appena in tre, Peppino, io ed un altro ragazzo che montavamo tutte le moto, una per una sui banchetti. Si organizzava la costruzione dei vari modelli in base alle richieste che arrivavano da privati o concessionari, così sui banchi c’erano magari due Matacross, un Matta stradale ed un paio di Modernly. Peppino inoltre curava le... ‘pubblic relation’ della Guazzoni, facendo gli onori di casa quando venivano ospiti in visita. In quegli anni c’era grande amicizia tra i ‘piccoli’ costruttori, per esempio Mazzilli o Sironi della SWM, che si incontravano spesso da noi per un aperitivo, per commentare le gare della domenica o anche solo fare quattro chiacchiere sui piloti e sul mercato. Era ancora Peppino che introduceva nuove soluzioni, per esempio una forcella differente, una marmitta ad espansione, una modifica al telaio, che venivano prima sperimentate sulle moto da gara e poi, se l’idea funzionava, la si passava in serie. Infine sempre lui eseguiva il... controllo qualità, cioè provava tutte le moto finite, dal Matta 50 alle 100, alle 125, sulle strade intorno alla sede. La ‘fabbrica’ Guazzoni, tra virgolette perché in realtà era più una grossa officina, tanto è vero che la denominazione precisa era Officina Meccanica Guazzoni, era così strutturata: al primo piano l’appartamento del signor Aldo, al piano rialzato gli uffici tecnico ed amministrativo, l’esposizione delle moto in produzione, il magazzino delle ciclistiche e gli invenduti, tra cui alcune moto conservate degli anni Cinquanta/Sessanta, ed i siluri da record. Una ripida discesa portava al piano sotterraneo dove c’erano il magazzino ricambi dei motori, l’officina riparazioni per le moto dei clienti/concessionari, la sala rettifiche, la sala prova motori, e quella montaggio motori, con un nastro su cui scorrevano 4/5 motori per volta. Sempre in questo sotterraneo si trovavano le macchine per la lavorazione dei carter, i torni, i trapani multipunta e le frese. Un piccolo cortiletto adiacente serviva per lavare i carter quando tornavano dalla sabbiatura e, al lunedì, le moto al rientro dalle gare di fuoristrada. Al piano rialzato c’era anche il salone dove si montavano le moto. I motori salivano al piano su un carrello a trazione... umana, nel senso che li portavo su io. Finita la moto, veniva provata da Peppino e, fatte le dovute regolazioni e messa a punto, passava nel locale esposizione. Nella ditta, oltre ai figli di Guazzoni, lavoravano non più di una decina di persone, alcune delle quali legate da un profondo rapporto di amicizia col ‘Sciur Aldo’, come veniva amichevolmente chiamato”.

Chi curava la parte amministrativa?

“Era gestita da Romano, il primogenito di Aldo Guazzoni. Il suo compito era tenere i contatti con i fornitori ed i concessionari, anche se va detto che moltissimi clienti della Guazzoni compravano la moto direttamente in fabbrica: qui infatti il cliente poteva ordinare la sua moto come voleva, naturalmente entro certi limiti. Ma non si negava per esempio una verniciatura fuori serie, una sella o un serbatoio diversi, o anche le richieste di apportare qualche modifica particolare a telaio o motore. Di concessionari ne avevamo alcuni grossi, come Picina di Lodi, La Maurina di Monza, quello di Vigevano ed un paio in Toscana, che nei periodi più favorevoli facevano ordini di cinque/sei moto per volta, ed altri piccoli che ne ritiravano una o due.

Difficile trovarne due uguali

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Il Matacross Special è disponibile sia in versione 6 che 4 marce. Se si acquistava quest’ultimo era possibile per il cliente ottenere in un secondo tempo il cambio a 6 rapporti

Comunque, a parte casi eccezionali, la maggior parte delle moto la Guazzoni le vendeva a Milano e in Regione. Per quanto riguarda la fornitura delle parti necessarie, manubri, leve, forcelle, serbatoi, ecc, si comprava in base alle moto da fare, e quindi mai grossi quantitativi da stoccare in magazzino. Anzi, a volte si doveva fermare il montaggio di una moto perché mancava il particolare giusto, mentre in altri casi si adattava quello che c’era in giro in ditta. C’era chiaramente una linea guida, ma ciò spiega perché è difficile trovare una Guazzoni identica ad un’altra pur della stessa serie, anno e cilindrata, e la relativa difficoltà oggi di eseguire un restauro fedele all’origine. Anche perché, come ho detto, a volte si costruiva in base alle richieste ed alle esigenze del cliente.

Com’era l’ambiente in Guazzoni?

“Era come una grande famiglia. A parte Aldo Guazzoni, il capo indiscusso, c’erano i figli, i cui compiti ho già chiarito. Poi lavoravano figure ‘storiche’, perché con Aldo da molti anni. Tra questi Enrico Carmeli, eccellente motorista che montava tutti i motori da corsa e di serie, il magazziniere Bardelli (in Guazzoni sin dagli anni Cinquanta), detto scherzosamente ‘Rimbamba’, settanta anni, ma una mente lucida ed una memoria di ferro, tanto da sapere uno per uno i minimi particolari di ogni singolo modello. E nei tempi morti saldava le marmitte, perché era bravissimo col cannello. Poi ricordo i due Gianni, uno bravo motorista, e l’altro detto ‘il pazzo’, perché gridava sempre. Il suo incarico era guidare il furgone, per cui consegnava ai concessionari, andava dai fornitori, portava le moto alle gare nei fine settimana, e portava in carrozzeria le parti da verniciare. In genere, comunque, nessuno faceva una cosa sola, tutti erano... ‘multipurpose’! Io stesso ho dovuto imparare a montare i cerchi a raggi, oltre che assemblare le moto. Ai vertici purtroppo non sempre si andava d’accordo, perché, a parte le discussioni sulla produzione tra Peppino e Aldo, anche tra i fratelli a volte c’era qualche attrito, e questo alla fine provocava difficoltà a livello produttivo.”

Il motore del Matacross veniva realizzato all’interno dello stabilimento? Chi erano i fornitori a cui ci si rivolgeva per i vari componenti?

“Se intendi le fusioni dei carter o le preparazioni dei pezzi, queste arrivavano da una o più fonderie esterne o da officine specializzate. In Guazzoni avevamo un’attrezzeria di buona qualità con cui lavoravamo di fino i pezzi del motore. Ciascun componente veniva siglato per accoppiarlo esattamente ad un altro: quel coperchio andava con quel carter e non con un altro, quell’albero in quel basamento, e così via proprio per il tipo artigianale della lavorazione. I carter lavorati in officina, venivano chiusi e rimandati fuori per essere sabbiati, una necessità perché ci arrivavano fusi in conchiglia - solo ‘l’ingranaggino’ li aveva fusi in terra - e così grezzi erano veramente brutti. Tornati dalla sabbiatura, i carter venivano smontati per la pulizia, lavati e finalmente un paio di operai specializzati procedevano al montaggio della meccanica interna. Si facevano batterie di massimo tre, quattro motori per volta, e tutti possibilmente dello stesso tipo, esempio tre Matacross, quattro Modernly, tre Matta e così via, salvo magari dover sospendere un motore perché mancava il pezzo giusto. Tutti i particolari del cambio, ingranaggi, desmo, forchette, arrivavano già fatti dall’esterno, mentre in Guazzoni avevamo una bella sala rettifiche dove si chiudevano, centravano e bilanciavano gli alberi motore. A questo punto se si trattava di un motore da competizione, velocità o fuoristrada, andava al banco prova, mentre se era destinato ad una macchina di serie lo portavo alla sala montaggio delle moto. Sinceramente si lavorava bene, perché capitava assai di rado che dopo la messa a punto una moto finita non funzionasse a dovere e si dovessero fare interventi importanti. Un altro capitolo fondamentale per il lavoro ed il fatturato della Guazzoni era il reparto riparazioni.

Vendita e assistenza anche in fabbrica

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Il motore sezionato è un pezzo storico, dato che veniva portato alle più importanti esposizioni per comprendere bene la meccanica

Chi comprava la moto in fabbrica, in caso di guasti la riportava direttamente da noi, ma anche per i concessionari era più conveniente così, sia perché non dovevano attrezzare un magazzino ricambi, sia perché, vista la relativa complessità del motore a disco rotante, nonché la costruzione così artigianale, si era più sicuri che il lavoro fosse fatto bene. Il reparto riparazioni lavorava molto ed era una fonte di notevole guadagno perché il pagamento avveniva... in contanti al ritiro della moto e non dopo tempi più o meno lunghi. Relativamente ai componenti, per le sospensioni facevamo capo a Ceriani, per le selle alla Radaelli e poi alla Gaman, e per i serbatoi in lamiera a Tebaldi o Fogacci, ma questi solo per il Matacross E. Nel caso del Matacross Normale, usavamo il modello ‘sonic regolarità’ della Tebaldi, simile a quello montato sulle Müller, oppure il tipo ‘cassetta’, cioè con la vaschetta porta-attrezzi sul dorso, senza un ordine preciso: magari facevo due moto col ‘sonic’, poi una col cassetta e poi un’altra ancora col ‘sonic’... Dal 1971, per i Cross Competizione e le RM si passò ai serbatoi in vetroresina, prima utilizzando quelli di Ballanti di Bologna, poi quelli di Minotti di Varese”.

Parlavamo di finitura accurata. In ditta c’era anche un reparto verniciatura?

“No, le verniciature venivano fatte da Gambolò in via Mecenate a Milano. Gambolò lavorava anche per la Bianchi Velo e per la Mondial, oltre che per i privati. Era una verniciatura di alta qualità e la prova sono le Guazzoni non restaurate che trovi oggi, quasi tutte con la vernice del serbatoio in buone condizioni. Gambolò stesso aveva una certa libertà e spesso creava nuovi schemi di decorazioni del serbatoio, filettava a mano i settori, ‘inventava’ belle tinte metallizzate, come il verde e il giallo. E questo spiega ancora una volta perché è difficile standardizzare uno schema di restauro. Se il cliente voleva la moto col telaio rosso, piuttosto che il grigio normale, la si faceva. La cosa non creava problemi perché portavamo a Gambolò pochi pezzi per volta, cercando di radunare quelli che andavano dello stesso colore.”

Il telaio era un disegno originale Guazzoni poi realizzato in casa, oppure era prodotto da ditte esterne?

“Solo il Matacross E, cioè Economico, ma noto anche come ‘Export’, montava il telaio Verlicchi, che era poi lo stesso che usava la Omer per un suo modello da fuoristrada. Tutti gli altri telai del Matacross coi tubi grossi venivano dall’esterno, credo da Ronzani, sicuramente da Bologna. Questi telai arrivavano non verniciati, perché noi li personalizzavamo a seconda delle richieste dei clienti o delle idee di Peppino. Ciò di cui sono certo è che il disegno del telaio era comunque studiato in Guazzoni. A questo proposito ricordo che Arnaldo Farioli, Campione di Regolarità e poi importatore della KTM, aveva collaborato con noi per il telaio delle serie successive al primo Matacross”.

Telaio delicato per la prima serie

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Ampia la schermatura anteriore a protezione del motore

Effettivamente c’è una certa difficoltà nel definire con esattezza la storia e lo sviluppo di questa moto. In totale quanti modelli esistono ufficialmente di Matacross?

“Io li ho divisi a seconda delle caratteristiche principali e naturalmente degli anni produttivi. La prima serie del Matacross ha il motore a testa quadra, quattro marce, cambio non estraibile, è presentato nel 1965 e costruito fino al 1967. Il difetto principale è la rottura del telaio, perché era ancora quello del Matta stradale con i tubi da 20 mm. Rotture e incrinature si verificavano soprattutto a livello cannotto e pedane, non in tutti certo, ma con frequenza in chi faceva fuoristrada. Il nuovo telaio con tubi da 22 mm di diametro, montato anche sulla Matta da strada, la termica radiale della testa e quella del cilindro maggiorata, il cambio ancora non estraibile, giustificano la seconda serie nata nel 1967. Nello stesso anno, per il Regolarità Special nuovo telaio destinato anche alle 100 e 125 e motore con cambio estraibile. Poi arriva nel 1971 la terza serie, la più famosa e diffusa, con il cambio estraibile a 4 o 6 marce. Si tratta dello Special con il telaio con i tubi da 25 mm, molto robusto e simile a quello del Modernly 125/150. Però sul Matacross Special è troppo pesante e penalizza le prestazioni. Può montare il serbatoio con o senza cassetta porta-attrezzi, ed è il più venduto. Contemporaneamente allo Special viene messo in produzione il modello Matacross E, come detto col telaio Verlicchi. Questa versione è anche detta Brooklyn, perchè fu prodotta su ordinazione della Industria Dolciaria Perfetti, che faceva il famoso chewing-gum, come premio di un suo concorso. Pur essendo il meno apprezzato e bello, il Matacross E è quello che in realtà va meglio, perchè rispetto allo Special 71 pesa 20 kg in meno, è più piccolo e corto ed adeguato ai ragazzini di allora. Costava 180.000 lire contro le 240.000 dello Special, ed ha avuto una notevole diffusione. Ne ho montati 300/350 all’anno per due anni. Certo non aveva le sospensioni Ceriani Competizione, il mozzo posteriore era in lamiera stampata, era economico insomma, ma il motore era lo stesso dello Special 71 a 4 marce. Sempre nel 1971 nasce il bellissimo Cross Competizione, con una scocca sella-parafango posteriore tipo Bultaco Pursang e che si rende disponibile sia nel tipo Cross che Regolarità, quest’ultima versione solo a richiesta. L’ultima serie, che in realtà non è mai stata prodotta a parte un solo esemplare purtroppo andato perduto, è a tutti gli effetti una RM 125, ma con la forcella da 30 mm e naturalmente il motore 50. Venne fatta nel 1973 per Gustavo Saralvo, un amico di Peppino che voleva correre con una Guazzoni nelle gare di Regolarità classe 50. In totale quindi direi che sono queste le versioni del Matacross o Mattacross, che dir si voglia.

A questo punto ci devi davvero spiegare il nome esatto di questo modello che a volte si chiama Mata oppure Matta.

“Una curiosità appunto a proposito del nome, che si trova scritto sulle pubblicità della Casa, sui depliant e nei cataloghi ufficiali, come Mattacross o Matacross, o con i due nomi staccati, e perfino con una sola ‘s’ finale. Non c’è una regola fissa, e questa è la dimostrazione di come in Guazzoni si avesse scarsa attenzione per queste cose e non si desse molta importanza alle relazioni esterne perché non se ne sentiva la necessità. A Milano possedere un Matacross era uno status symbol tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo: gli adolescenti delle famiglie ‘bene’ avevano quasi tutti la ‘Guazza’ da fuoristrada, e poco importava come si chiamava ufficialmente. Le cose hanno iniziato a cambiare dopo il 1971 con l’arrivo di altri ciclomotori da fuoristrada che rapidamente si sono imposti all’attenzione dei giovanissimi per le loro caratteristiche esclusive. Parlo di Müller, Aspes, Ancillotti, Fantic e così via, ma prima, ripeto, la ‘Guazza’ era il massimo che si potesse desiderare per un ragazzino alla prima moto”.

Ma perché Matta?

“Perché in sede di omologazione all’inizio la moto non voleva saperne di rientrare nei 40 km/h imposti dal Codice, faceva, appunto, la ‘matta’. Da qui si è partiti e ci si è ricollegati alla carta di gioco che vince tutto.”

Cambio estraibile: 4 o 6 marce

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Il dettaglio del cambio estraibile

Quali sono le modifiche più importanti apportate al motore, fatte sia per migliorare il prodotto che per rimediare ad eventuali problemi ricorrenti?

“La termica radiale dei motori Matta, ispirata ai motori Simson, si sviluppò nel tempo, e venne introdotta con largo anticipo sui concorrenti come Minarelli e Franco Morini, facendo di Guazzoni un precursore in questo campo. Altra novità importante è il cambio estraibile, a 4 o 6 marce. Per montare l’uno o l’altro non era necessario modificare il carter, ma introdurre diversi flangia e distanziale. Il motore che può montare il cambio a 6 marce ha inoltre gli attacchi posteriori per il telaio più larghi. Le due trasmissioni erano intercambiabili: portando la moto in ditta e con la spesa di 40.000 lire, il cliente poteva sostituire il suo cambio a 4 marce con quello a 6. Inizialmente il coperchio di sinistra non ha l’incavo alla base della leva della messa in moto, poi viene fatto per farla lavorare meglio. La sede di innesto della valvola rotante è prima rettangolare, poi esagonale e per l’ultima serie è conica su chiavella. Poi viene rinforzata la frizione, un punto sempre un po’ delicato e soggetto a rapida usura causa la potenza di questi motori che era di 7/8 CV, aumentando lo spessore della campana e delle molle. Il motore della prima serie del Matacross aveva la sede del cuscinetto di banco sinistro sul coperchio della valvola rotante e non reggeva a lungo, perciò con la seconda serie si è provveduto a spostarla sul carter centrale. Un altro punto debole a cui invece non si è mai posto rimedio, perché si sarebbe dovuto riprogettare il tutto con costi insostenibili, era il meccanismo della messa in moto, che lavora all’esterno del motore, protetto solo dal coperchio del carter e vicino al pignone della catena. In fuoristrada a causa del fango trascinato all’interno dalla catena l’ingranaggio si usurava e perdeva efficienza. Così, oltre a cadere la catena dal pignone, questa andava a rompere il coperchio stesso del carter. Ciò non succedeva sul Matta da strada dove le condizioni di utilizzo non erano così gravose. Ma anche il pistone poteva dare problemi. Noi usavamo gli Asso, garanzia di qualità, ma gli alti regimi, e soprattutto le elaborazioni a cui i Matacross venivano sottoposti fuori dalla fabbrica da mani inesperte, provocavano grippaggi e surriscaldamenti, anche a causa degli oli del tempo, non così efficaci come oggi. Il cambio a 6 marce rispetto al 4 era più delicato, mentre la trasmissione primaria a catena inevitabilmente con l’usura prendeva gioco”.

Quali sono le cause che portano alla chiusura della Guazzoni?

“Certamente la concorrenza sempre più forte di Minarelli e Franco Morini, oltre che di Sachs e Zündapp. I nostri motori da 50 cc a disco rotante venivano a costare troppo, oltre a non essere il massimo in fatto di affidabilità. Potenti e raffinati, ma inferiori agli altri in quanto a robustezza e durata. Ciò provocava un notevole ritorno in ditta per riparazioni, spesso anche di motori seminuovi. Peppino, che rispetto ad Aldo Guazzoni era più aperto come vedute, spesso si scontrava col padre riguardo all’opportunità di smettere, almeno in parte e per un periodo limitato, la produzione di motori da 50 cc per acquistarli già fatti da Minarelli o Franco Morini. In questo modo si sarebbe ottenuta una notevole semplificazione interna, oltre a grande risparmio di tempo e denaro, e anche un maggior guadagno alla fine, perché quei motori realizzati su larga scala costavano molto meno. Il nome che avevamo ci avrebbe comunque garantito buone vendite anche così, anzi avremmo acquistato quella sicurezza economica che già mancava all’inizio degli anni Settanta. Riacquistata una posizione più solida, diceva Peppino, si sarebbe potuto continuare a produrre il Matacross col motore Guazzoni a disco, investendo per perfezionarlo al fine di rimediare ai problemi che ho accennato. Ma Aldo Guazzoni era irremovibile. ‘Finchè ci sarò le mie moto monteranno i miei motori’, diceva, e il discorso finiva lì. Così la situazione economica della ditta si è fatta sempre più preoccupante. I fornitori non venivano pagati, o comunque con difficoltà e ritardo, e lo stesso gli stipendi di noi dipendenti. E poi è arrivata quella brutta storia che ci ha dato il colpo di grazia”.

E cioè?

“Non ricordo l’anno preciso, comunque all’inizio degli anni Settanta un ragazzino che aveva appena ritirato un nuovo Matacross ha fatto un incidente mortale tornando a casa sua. Il padre, o forse un suo stretto parente, era un avvocato importante che, indagando sulle cause del sinistro, si è accorto che il ciclomotore era invece una motoleggera, perchè, come consuetudine di quasi tutti i costruttori di allora, la potenza era ben superiore a 1,5 CV che il Codice imponeva. I famosi modelli cosidetti Export che avrebbero dovuti essere riservati all’esportazione appunto, in realtà erano quelli regolarmente venduti, e così era anche per la Guazzoni. Così è scattata una denuncia e, a parte la causa con l’avvocato di cui non so molto, la Motorizzazione Civile ha vietato alla Guazzoni di vendere il Matacross e il Matta annullando il DGM, se non previo controllo e relativa omologazione per ogni esemplare costruito. Il Matacross, a parte la potenza di 7/8 CV contro l’1,5 consentito, non rispettava la normativa sul peso del motore che, secondo le regole, per un ciclomotore non poteva passare i 16 kg, contro i 21 del nostro. Per superare l’ostacolo abbiamo pensato di tornire l’alettatura del cilindro, guadagnando così un paio di kg, montare una testa più piccola e, tra virgolette, di.... ‘alleggerire’ l’interno del motore. Più o meno ogni mattina dalla fabbrica partiva il furgone carico di 5 Matacross diretto alla Motorizzazione di Milano in via Colleoni. I Matacross però erano sempre gli stessi, alle quali cambiavamo il serbatoio, e così il colore, e modificavamo il numero di telaio che poi veniva riportato sul telaio di un’altro Matacross che veniva venduto. Quindi ci presentavamo alla zona collaudo dove l’ingegnere controllava il peso, il carburatore, la misura delle gomme, il numero di telaio e il rumore allo scarico. I libretti così ottenuti servivano per regolarizzare le moto già vendute - magari un anno prima - che circolavano con il classico foglio provvisorio. Per un po’ la cosa è andata, ma un giorno l’ingegnere mi ha chiesto la prova dinamica per verificare la frenata... ed è scoppiata la bomba! Perchè prima ho detto ‘alleggerivamo’ l’interno del motore... tra virgolette? Perchè dentro non montavamo il cambio! Ma l’ingegnere si era accorto da tempo che le moto erano sempre le stesse, nonostante la sostituzione del serbatoio, ed era stanco di sopportare il trucchetto. Così abbiamo dovuto studiare un cambio alleggerito e quant’altro per rientrare nei parametri di omologazione, attingendo alle già scarse risorse economiche. Gli ulteriori tentativi di Peppino verso il padre per adottare il Minarelli, che pesava solo 13 kg, andarono ancora a vuoto nonostante questa mazzata, che credo abbia davvero pesato sulla fine della Guazzoni. Pensate che oggi ci sono ancora dei Matacross in attesa del regolare libretto di circolazione! Così l’avventura della Guazzoni si è chiusa tristemente. Io però me ne ero già andato, stanco di una situazione così incerta ed anche di lavorare senza vedere lo stipendio a fine mese”.

Caratteristiche tecniche Matacross 50 (1965)

Motore: monocilindrico inclinato in avanti a 2 tempi, cilindro in ghisa e testa in lega leggera, distribuzione a disco rotante, durata fase aspirazione 200°, alesaggio per corsa 41x37,5 mm, cilindrata 49,5 cc, rapporto di compressione 7:1, potenza max 1,8 CV a 3.800 giri. Accensione: volano magnete da 28 Watt con bobina AT esterna, anticipo fisso 15°, distanza tra i contatti 0,35 mm, candela grado termico 225 Bosch, distanza tra gli elettrodi 0,5/0,6 mm. Lubrificazione: per trasmissione, frizione e cambio 700 gr. di olio SAE 30 inverno, SAE 50 estate. Alimentazione: miscela al 6%, serbatoio da 9 litri di cui 2 di riserva. Carburatore Dell’Orto MB 18.

Trasmissioni: primaria a catena sul lato destro, rapporto 3:1 (12-36), secondaria a catena, rapporto 3,92:1 (pignone 13 e corona 51 denti). Cambio: a 4 marce con leva a pedale sul lato destro. Frizione: dischi multipli a bagno d’olio. Telaio: doppia culla chiusa in tubi di acciaio. Sospensioni: anteriore forcella teleidraulica Ceriani, posteriore forcellone oscillante con due ammortizzatori Ceriani teleidraulici. Ruote: a raggi con cerchi in acciaio, pneumatici Pirelli MT 74 2.50-17 ant e 2.50-17 tipo Motocross. Freni: anteriore e posteriore a tamburo centrale in lega leggera a camma singola, dimensioni utili 135x20 mm.

Impianto elettrico: alimentato da volano magnete 28W/6V sulla destra dell’albero motore. Dimensioni (in mm) e peso*: lunghezza 1.810, interasse 1.210, larghezza 745, larghezza manubrio 720, altezza 1.010, altezza sella 740, altezza pedane 275, luce a terra 210, peso a vuoto 68 kg (31 ant + 37 post). * Valori rilevati oggi.

Varianti per Matta Regolarità Special 50 (1967):

rapporto di compressione 8:1, carburatore Dell’Orto MB 20A, diametro diffusore 20 mm, getto max 105, getto min 50, valvola del gas 50, polverizzatore 260, spillo conico E1 alla seconda tacca, filtro aria F11, vite aria aperta di giri 1 ¼. Cambio a 6 marce comandato a pedale sulla destra. Cerchi in acciaio 2 ¼x19”ant e 2 ¼x17” post con pneumatici 2,50-19 ant e 3,00-17 post. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza 1.840, interasse 1.200, larghezza manubrio 820, altezza max 1.050, altezza sella 790, altezza pedane 270, luce a terra 230, peso a vuoto 78 kg. Prestazioni: velocità max 40 km/h, consumo 1 litro per 50 km, autonomia 450 km.

Varianti per modello Competizione:

rapporto di compressione 12:1, potenza max 7 CV a 9.000 giri, anticipo d’accensione 27°, velocità max 85 km/h, consumo 1 litro per 35 km, pendenza max superabile al limite del ribaltamento.

Varianti per Matacross Special 50 (1971):

capacità serbatoio 11 litri, carburatore MB 18A, diametro diffusore 18 mm, cambio a 4 rapporti (a 6 rapporti a richiesta), corona posteriore da 54 denti. Peso a vuoto 75 kg. Dimensioni (in mm) e peso*: lunghezza 1.875, interasse 1.165, larghezza 800, larghezza manubrio 800, altezza 1.060, altezza sella 755, altezza pedane 305, luce a terra 200, peso a vuoto 80 kg (37 ant + 43 post). * Valori rilevati oggi.

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