Suzuki DR600S: the hearty single

Ovvero “il singolo abbondante”, come annunciava il depliant in inglese stampato dalla Suzuki per la sua nuova maxi enduro monocilindrica. Presentata nel 1984, la DR600S deve misurarsi in un settore ricco di proposte. Ma grazie alla sua linea azzeccata, al motore robusto e ai bassi costi di gestione riesce a conquistare un buon numero di appassionati. E con alcuni aggiornamenti resta in produzione cinque anni

Michele Rinaldi, Campione del Mondo Cross 125 nel 1984 è il testimonial della DR600S dal 1985 in vendita sul mercato italiano 

Al Salone di Colonia del 1984 la Suzuki presenta finalmente la DR600S andando a misurarsi nel settore delle maxi-enduro, uno dei segmenti di mercato più interessanti e di moda in quegli anni per proposte tecniche e volumi di vendite.

Ultima arrivata

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La linea essenziale e l'impostazione più spartana rispetto alle altre maxi-enduro dell'epoca ne denotano la vocazione più fuoristradistica 

Finalmente perché la Casa di Hamamatsu è l’ultima in ordine di tempo fra quelle giapponesi a proporre il suo modello e questo nonostante possa vantare una solida tradizione fuoristradistica - specialmente nel Motocross - e abbia già introdotto sul mercato dai primi anni Ottanta la famiglia delle DR, che comprende i suoi modelli entrofuoristrada a quattro tempi. Le piccole 125 e 250 in Italia non si sono mai viste per via del contingentamento, mentre la più consistente DR400S e la sua evoluzione di 500 cc non hanno mai catturato l’interesse degli appassionati. Le DR sono moto semplici e affidabili, facili da guidare anche per chi si avvicina per la prima volta all’enduro e al fuoristrada in generale. Ma a voler essere onesti si tratta di modelli nati vecchi e privi di appeal, nei quali si trova solo in parte la tecnologia e l’esperienza fuoristradistica che la Suzuki possiede. Mentre la Honda XL600R, la Yamaha XT600 Ténéré e la Kawasaki KLR 600 sfoggiano già sospensioni posteriori con monoammortizzatore, freni a disco anteriori (su XL e XT) e avviamento elettrico (sulla KLR), la Suzuki nella primavera del 1984 si ostina a contrastare le rivali proponendo la tranquilla DR500S, con i suoi modesti freni a tamburo da 150 mm, l’impianto elettrico a 6 Volt e, al posteriore, la sospensione con due ammortizzatori e la ruota da 18”. Unica concessione alla moda crescente delle maxi-enduro che strizzano l’occhio ai raid africani è l’adozione di un serbatoio in plastica da 21 litri al posto di quello originale da appena 9 litri. Ma si tratta di un’iniziativa della Suzuki Italia che raccoglie pochissimi consensi e passa quasi inosservata. La DR600S colma quindi la lacuna, presentandosi con una personalità ben definita: rispetto alla concorrenza vuole essere spartana, leggera e professionale, più adatta all’uso fuoristradistico che all’asfalto.

Erogazione dolce

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Ecco perché il suo robusto monocilindrico superquadro punta tutto sull’erogazione, dolce in tutto l’arco del suo utilizzo e alla notevole coppia ai bassi regimi. È inoltre dotato di un radiatore dell’olio che abbassa la temperatura del lubrificante nella guida a bassa andatura su sterrato e ha le prime tre marce corte e ravvicinate per superare ostacoli e sconnessioni. Ma è privo dell’avviamento elettrico, inutile e pesante accessorio di cui il vero fuoristradista può fare a meno. Anche la posizione in sella, giusto compromesso per la guida su asfalto e su terreni accidentati, privilegia questo ultimo aspetto: la DR600S ha infatti il baricentro alto, una buona luce a terra, il manubrio ben dimensionato per tenere le braccia larghe e non contratte e il suo corto serbatoio piramidale sembra fatto apposta per favorire l’avanzamento del corpo sui terreni accidentati, mentre la sua larghezza non infastidisce nella guida come invece accade su altri modelli della concorrenza. Le sospensioni invece sono un po’ troppo morbide - specie il monoammortizzatore posteriore - per affrontare con decisione percorsi impegnativi, ma la possibilità di regolare il precarico molla su 5 posizioni consente di trovare l’assetto più efficace senza troppa fatica. Gli appassionati sembrano gradire subito la nuova arrivata, che ha anche una linea accattivante e colori vivaci.

La giapponese più economica

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La Suzuki ne propone quattro: blu, rosso, nero e bianco, ma l’importatore italiano nel 1985 preferisce scegliere solo i primi due. Certo, la mancanza dell’avviamento elettrico allontana i neofiti e quelli che hanno poca dimestichezza con la pedivella del kick-starter, mentre l’assenza del contagiri fa storcere il naso a chi utilizza la DR600 su asfalto e magari in autostrada, ma il nuovo modello ha molti punti a favore. Nel 1985 la DR600S è la maxi-enduro giapponese più economica sul mercato, consente di viaggiare anche in due senza soffrire (a patto però di non esagerare con i km, specie quelli in autostrada), ha un motore infaticabile, brillante nelle prestazioni e affidabile, che vibra poco grazie ai due contralberi e ha consumi contenuti. L’unico neo è un certo consumo d’olio - tipico però di tutti i motori Suzuki raffreddati ad aria di quegli anni - e la segnalazione di esemplari che accusano problemi alla camma della distribuzione per un difetto di cementazione del materiale, ma strutturalmente il resto è in ordine. La carriera della maxi-enduro della Suzuki prosegue fino alla fine degli anni Ottanta e non risente dell’arrivo in famiglia, alla fine del 1987, della DR750 Big, che all’epoca della sua presentazione diventa la monocilindrica di maggior cubatura in commercio e il nuovo riferimento per la categoria. La versione S, con nuove grafiche, colori e alcuni piccoli aggiornamenti, come l’adozione di protezioni in plastica per i foderi della forcella e il disco freno, resta in listino fino alla fine del 1989, affiancata - a partire dal 1987 - dalla versione Djebel (parola araba che significa montagna), con parafango anteriore di maggiori dimensioni, piccolo plexiglas fissato alla mascherina portafaro e colorazioni diverse per sella e carrozzeria. La Djebel, che nel 1989 riceverà il freno a disco posteriore, sugli altri mercati è chiamata Dakar, nome che in Italia all’epoca non può essere utilizzato perché protetto da copyright di un’altra Casa, chiude la carriera della DR600 alla fine del decennio per lasciare spazio alla nuova famiglia DR650 spinte da motori di nuova generazione di maggior cubatura.

Caratteristiche tecniche

Motore: monocilindrico verticale inclinato in avanti di xx°, quattro tempi, raffreddamento ad aria. Testa e cilindro in lega leggera con canna riportata in ghisa. Due alberi controrotanti antivibrazioni. Distribuzione monoalbero a camme in testa comandata da una catena tipo Morse. Quattro valvole per cilindro (diametro valvola aspirazione 33 mm; diametro valvola di scarico 28 mm) e testa con camera di scoppio a sistema TSCC (Twin Swirl Combustion Chamber). Alesaggio per corsa 94x85 mm. Cilindrata 589 cc. Rapporto di compressione 8,5:1. Potenza max 45 CV a 6.750 giri; coppia max 4,85 kgm a 5.750 giri. Accensione: doppia accensione, elettronica Suzuki PEI con anticipo automatico (0° a 2.200 giri. 30° a 4.300 giri). Due candele NGK DP9EA-9 oppure Nippondenso X27EP-U9. Distanza fra gli elettrodi 0.8-0.9. Avviamento: a pedale con alzavalvole automatico collegato alla leva del kick-starter e secondo alzavalvole manuale al manubrio. Alimentazione: un carburatore Mikuni VM38SS da 38 mm con pompa di ripresa. Getto massimo 135, getto minimo 20, starter 32,5, spillo conico 6CM1 alla terza tacca, vite aria aperta di 2 giri. Capacità serbatoio carburante: 21 litri, di cui 4,5 di riserva. Lubrificazione: a carter umido, con pompa trocoidale di mandata e recupero e radiatore dell’olio inserito nell’impianto. Capacità coppa 2,45 litri.

Frizione: multi disco in bagno d’olio con cinque dischi conduttori e sei dischi condotti.

Cambio: in blocco a 5 rapporti, con innesti frontali ed ingranaggi sempre in presa. Valori rapporti interni: 2,416 in prima (z=29/12); 1,625 in seconda (z=26/16); 1,263 in terza (z=24/19); 1,000 in quarta (z=21/21); 0,826 in quinta (z=19/23). Trasmissione: primaria ad ingranaggi a denti elicoidali, rapporto 2,310 (z=29/67); finale a catena, rapporto 2,625 (corona 42, pignone 16). Valori totali di trasmissione: 14,648 in prima; 9,852 in seconda; 7,657 in terza; 6,063 in quarta; 5,008 in quinta. Telaio: monotrave sdoppiato sotto al motore in tubi d’acciaio con montante a sezione quadra. Inclinazione cannotto di sterzo 30°; angolo di sterzata 45°; avancorsa 125 mm.

Sospensioni: anteriore forcella tele idraulica a funzionamento misto idraulico-pneumatico, con steli da 39 mm. Capacità 0,475 litri per stelo, pressione aria standard 0 kg/cm2. Escursione ruota anteriore 240 mm. Posteriore forcellone oscillante in acciaio a sezione quadra montato su cuscinetti ad aghi con monoammortizzatore regolabile su cinque posizioni di precarico molla. Escursione ruota posteriore 220 mm. Freni: anteriore a disco da 240 mm con pinza flottante a singolo pistoncino e comando idraulico; posteriore a tamburo a camma semplice da 130 mm. Ruote: a raggi con cerchi in lega leggera, anteriore 1,85-21, posteriore MT 2,50-17. Pneumatici: anteriore 100/80-21, posteriore 130/80-17. Impianto elettrico: a 12V. Batteria da 12V-5Ah. Alternatore da 12V-195W. Faro anteriore alogena da 55/60W, faro posteriore 5/21W, lampadine indicatori di direzione 21W, lampade illuminazione spie di servizio e strumentazione 3,4W. Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza max 2.215, larghezza max 875, interasse 1.465, altezza max 1.235, altezza sella 740, luce a terra 275. Peso a secco dichiarato: 142 kg.

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