Una vera moto da corsa senza compromessi, con impianto elettrico, targa e fanali per poter circolare sulle strade di tutti i giorni, ma già pronta per scendere in pista. Battezzata SFC, Super Freni Competizione, per differenziarla dalla SF (Super Freni) da cui deriva, la nuova Laverda viene presentata al Salone di Milano nel novembre del 1971, dove divide la scena nello stand della Casa di Breganze con la versione definitiva della 1000 tre cilindri. Anche se ad onor del vero la stampa specializzata aveva già abbondantemente descritto la nuova venuta e Motociclismo sul numero di agosto di quell’anno ne aveva già mostrato alcune immagini. Rispetto alla SF, l’SFC presenta solo alcune differenze e nemmeno troppo radicali. Il telaio doppio trave superiore in tubi d’acciaio resta invariato, ma è di colore argento anzichè nero, grazie ad una particolare verniciatura galvanica. Come sulla moto che ha corso ad Oss nel 1970, viene montato un cupolino in vetroresina fisso al telaio che si prolunga ai lati del serbatoio. Quest’ultimo, anch’esso in vetroresina come il codino monoposto, è maggiorato a 24 litri.
Il bicilindrico raffreddato ad aria della SFC viene montato a mano e con le cure del caso nel Reparto corse Laverda. Ha valvole di maggiori dimensioni (aspirazione 41,5 mm, scarico 35,5 mm anziché 38 mm e 34 mm come sulla SF) e un albero motore meglio equilibrato. Adotta inoltre una coppia di carburatori Amal da 36 mm al posto dei Dell’Orto montati sulla SF. Per aumentare la luce a terra della moto, gli scarichi (separati, intercambiabili e privi di compensatore) sono rialzati e passano ai lati del basamento motore, ma quello destro è più basso per la presenza della dinamo. Completa l’opera una vistosa colorazione arancione, che domina le parti di carrozzeria e i foderi forcella, simile a quella utilizzata nel medesimo periodo sui trattori e i mezzi agricoli anch’essi prodotti dalla Casa di Breganze. La scelta di un colore così vivace ed originale inizialmente è motivata dalla necessità di rendere ben visibili le SFC al buio, durante le gare di Endurance, ma diventa in breve tempo sinonimo di Laverda da corsa e verrà utilizzata anche su altri modelli.
Che la nuova moto sia votata alla pista lo conferma il fatto che il primo lotto di SFC non viene messo in vendita al pubblico ma ai piloti. Si tratta di meno di 25 esemplari con serbatoio in alluminio anzichè in vetroresina e con alcune parti speciali in optional come gli scarichi liberi ed il freno anteriore Ceriani da competizione, costruiti alla vigilia del Salone di Milano che segna il debutto “in società” della nuova Laverda.
Questa della tiratura limitata resterà una prerogativa di tutta la produzione delle SFC che non andrà oltre il tetto dei 550 esemplari, un numero decisamente inferiore a quello delle altre biclindriche sportive italiane dello stesso periodo, Ducati 750 SS e Moto Guzzi V7 Sport, che della Laverda sono state rivali commerciali e valide antagoniste in pista. La SFC è anche decisamente più costosa delle altre perchè nel 1971 è in vendita a 1.410.000 lire - che già l’anno seguente salgono a 1.549.000 lire - ma proprio per questa sua esclusività è molto ambita.
Poco importa se da usare è scomodissima - soprattutto per chi non ha la fortuna di avere la taglia di Brettoni - pesante da condurre, con la frizione granitica, le vibrazioni feroci e una maneggevolezza penalizzata in parte nel misto stretto dal baricentro un po’ alto. Basta il rombo proveniente dallo scarico della SFC per far passare in secondo piano tutto il resto. Meglio ancora se si monta lo scarico libero, adatto alla pista ma assolutamente fuorilegge su strada anche nei primi anni Settanta, quando le diverse condizioni di traffico facevano si che i tutori dell’ordine fossero di vedute “più morbide” rispetto ad oggi.
E poi essendo una moto sportiva, la SFC va guidata come tale. Cioè sempre al limite. Solo così si possono apprezzare la stabilità del telaio che consente di viaggiare sui classici due binari nei curvoni veloci e le brillanti prestazioni del motore.
Fra il 1971 e il 1973 la SFC raccoglie un buon numero di successi: Angiolini e Hutten vincono la 24 Ore di Oss del 1971. Lo stesso Angiolini in coppia con Brettoni si impone anche alla 24 Ore di Barcellona sullo stradale del Montjuich ed è secondo al Bol d’Or sempre con il pilota toscano, mentre nelle 500 km in Italia si registrano i successi di Angiolini e Pescucci a Modena nel 1971 e quello di Gallina e Pescucci sulla stessa pista l’anno seguente.