Yamaha XJ 650 Turbo: fata turbina

Nel 1981 anche la Yamaha affronta il tema della sovralimentazione per contrastare la Honda CX500 Turbo. Meno sofisticata della rivale e dall’estetica discutibile, resta in produzione solo due anni. È però la moto turbo costruita nel maggior numero di esemplari

Chi ha vissuto la lotta senza esclusione di colpi ingaggiata negli anni Ottanta da Honda e Yamaha si trova d’accordo nell’affermare che quello scontro fratricida fra le due aziende giapponesi ha portato a bruciare in poche stagioni - sul mercato ma anche in pista - idee e modelli che in condizioni normali avrebbero avuto ben altra tempistica di sviluppo ed esaurimento del loro ciclo produttivo.

La strategia delle due aziende era molto semplice: bisognava anticipare le mosse dell’avversario in ogni segmento di mercato sfornando idee a getto continuo. La Yamaha XJ 650 Turbo è uno degli esempi più classici di questa follia commerciale. Figlia di un’epoca irrepetibile e nata, forse con una gestazione troppo affrettata, solo per contrastare la Honda CX500 Turbo.

Nel 1970 il primo motore turbo con Toyota

La Toyota 7, auto equipaggiata con un V8 biturbo di 5 litri nato dalla collaborazione tra Yamaha e Toyota

Il primo motore turbocompresso era stato realizzato a Iwata nel luglio del 1970, ma si trattava di un V8 automobilistico biturbo di 5.000 cc nato in collaborazione con la Toyota e utilizzato sul prototipo di una vettura Can-Am chiamata Toyota 7 che avrebbe dovuto correre nel 1971, ma il cui progetto era stato cancellato al completamento della prima fase di sviluppo.

Dopo questo V8 nessuno era più tornato sull’argomento in casa Yamaha fino all’autunno del 1980, quando al Reparto Ricerca e Sviluppo era arrivato l’ordine perentorio di mettersi al lavoro e costruire nel minor tempo possibile una moto sovralimentata perché la Honda aveva appena dato fuoco alle polveri presentando al Salone di Colonia la CX500 Turbo.

Già nel mese di dicembre era stato allestito a Iwata un prototipo tanto mostruoso quanto inguidabile, sviluppato sulla base della XS 1100. Forti della precedente esperienza automobilistica i tecnici erano andati sul sicuro e per cercare il maggior numero di CV senza penalizzare l’affidabilità del motore avevano scelto la base più “solida” e con la maggior cubatura che avevano in casa.

Purtroppo l’applicazione di una turbina Mitsubishi e dell’iniezione elettronica scelta per ottimizzare il funzionamento del motore a ogni regime rendendone più fluida possibile l’erogazione, avevano dato problemi di “accordatura” e rigetto. Il prototipo aveva tantissimi CV (all’epoca si era parlato addirittura di 130) assieme a una coppia mostruosa e sulla pista di prova Yamaha aveva mostrato anche degli spunti velocistici degni di nota. Ma il ritardo nella risposta del turbo all’apertura della manopola del gas, i capricci di un’iniezione ancora tutta da mettere a punto e i colpi che riceveva la trasmissione finale ad albero cardanico ad ogni cambio di marcia, avevano indotto gli ingegneri a più miti propositi e a scendere di cilindrata.

Dalla XS 1100 alla XJ 650

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La sgraziata carenatura è stata studiata nella galleria del vento con l’obiettivo di proteggere al meglio alle alte velocità un motociclista di taglia media (175 cm), seduto in sella con una posizione di guida turistica

Dalla XS 1100 si erano quindi spostati sulla XJ 650 (Seca per il mercato statunitense), una moto che aveva appena incontrato un discreto successo fra gli appassionati. Leggera, veloce, ben frenata e con un motore che all’epoca era considerato il quattro cilindri in linea bialbero più compatto e meno pesante disponibile sul mercato. Con la CX500 Turbo la Honda aveva dato una dimostrazione di superiorità, mostrando fino a che punto potevano arrivare i suoi ingegneri. Ma a ben guardare la sua prova di forza aveva creato un paradosso, perché negli anni Ottanta la parola turbo evocava nell’immaginario collettivo potenza e velocità, come quelle espresse dalle monoposto Renault impegnate con Jabouille e Arnoux nel Mondiale di F1.

Invece il nuovo modello non aveva un aspetto sportivo, così come il suo motore con cardano ereditato dalla CX500 e nato per scopi turistici sembrava l’antitesi delle alte prestazioni.

Il bicilindrico a V era ingombrante, pesante, con le complicazioni dall’iniezione elettronica e del raffreddamento a liquido e, per finire, aveva un aspetto decisamente poco motociclistico.

Scegliendo la XJ 650 i tecnici Yamaha imboccano invece una strada differente, dove la parola d’ordine è “fare le cose con semplicità”, lavorando su un motore che si è già dimostrato affidabile e, sulla carta, in grado di sopportare le sollecitazioni a cui verrà sottoposto grazie alla sovralimentazione.

Carburatori Mikuni, turbo Mitsubishi

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Sulla XJ 650 Turbo sono montati quattro carburatori Mikuni BS 30 a depressione, studiati appositamente per questo modello

In nome della semplificazione viene eliminata l’iniezione elettronica che aveva dato problemi sul prototipo, per fare spazio a una batteria di carburatori Mikuni a depressione da 30 mm che prendono il posto dei quattro Hitachi da 32 mm montati invece sulla XJ 650, mentre teste, cilindri, pistoni, bielle e albero a gomiti ricevono degli affinamenti - specie nella scelta dei materiali - in previsione del carico di lavoro più gravoso che andranno ad affrontare.

Dalla moto aspirata, la Yamaha Turbo eredita anche il telaio, identico nelle quote e nell’inclinazione del cannotto di sterzo, mentre vengono introdotte modifiche di dettaglio al reparto freni e sospensioni. La forcella è a funzionamento oleopneumatico, con valvola dell’aria su uno stelo e relativo ponticello di compensazione fino all’altro, mentre gli ammortizzatori posteriori offrono un numero maggiore di regolazioni. Dischi e pinze sono di nuovo disegno, così come anche le ruote in lega.

Un impianto di sovralimentazione funziona creando un collegamento diretto tra gli scarichi del motore e la turbina, dove l’energia dei gas combusti viene sfruttata per azionare il compressore che induce la sovralimentazione della miscela di aria e benzina da mandare ai carburatori.

Dato che le temperature dei gas di scarico all’uscita dai collettori sono nell’ordine degli 800° C, la cosa migliore è collocare il turbo il più lontano possibile dalle gambe del guidatore e dall’impianto di alimentazione. Per questo motivo l’unità della Mitsubishi chiamata TC03-06A che ha la girante di scarico del compressore centrifugo con un diametro di soli 39 mm, sulla XJ 650 viene collocata molto in basso, nello spazio esistente fra il basamento motore e la ruota posteriore, praticamente al di sotto dell’attacco del forcellone.

Come la Honda Turbo, anche la Yamaha ha la trasmissione finale ad albero cardanico e il cambio a 5 rapporti e anche qui il rapporto di compressione è stato diminuito rispetto al motore aspirato (da 9,2:1 a 8,2:1) per evitare eccessivi stress meccanici al quattro cilindri.

Qui però le valvole di scarico restano invariate nel loro diametro, mentre quelle della Honda sono più piccole di 2 mm sulla Turbo rispetto alla CX500 “normale” per velocizzare la colonna dei gas in uscita e dare maggior accelerazione alla girante della turbina.

Altra differenza, il turbo della Yamaha aspira attraverso i quattro carburatori, ma espelle i gas della combustione da uno solo dei due terminali di scarico, con l’altro vengono invece eliminati i sovraccarichi di pressione che arrivano dalla turbina attraverso una valvola Wastegate di sfogo, controllata dalla pressione in uscita dal compressore. Inoltre, per rendere progressivo l’inserimento del turbo, ai bassi e ai medi regimi l’ammissione sulla XJ è regolata da lamelle che collegano direttamente il filtro dell’aria con i carburatori escludendo la turbina.

Invece all’aumentare del regime di rotazione di quest’ultima, le lamelle si chiudono progressivamente fino a serrarsi, così il motore passa alla sovralimentazione in maniera progressiva e controllata. Con questo sistema gli ingegneri della Casa di Iwata pensano di eliminare il principale difetto nell’utilizzo dei motori turbo, ovvero quel fenomeno chiamato “turbo-lag” che determina un ritardo nella risposta del motore all’apertura della manopola del gas.

Look proiettato al futuro

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Definita la meccanica del prototipo, gli ingegneri passano allo studio dell’estetica e purtroppo gli esperti di design della Yamaha vanno in ...confusione. Alcuni vorrebbero esaltare l’aspetto sportivo della nuova moto, puntando a un look senza compromessi che rimandi anche a motore spento alle prestazioni di cui è capace. Altri la vedono come una porta verso il futuro: sono gli anni in cui al cinema imperversano i film di fantascienza e preferirebbero vestirla come la protagonista di un episodio della saga di 007 o di un cartone animato “manga” giapponese (per proiettarla direttamente verso il XXI° secolo.

Infine, fra i due schieramenti, ce ne è un terzo: quello degli indecisi, che temendo di fare passi falsi guardano a quanto fatto dalla Honda, pensando a qualcosa di analogo. Purtroppo saranno gli indecisi e i “futuristi” ad avere la meglio sugli sportivi e quando la XJ 650 Turbo viene finalmente presentata al Salone di Tokyo del 1981, basta incrociare gli sguardi dei presenti per capire che ad Iwata hanno commesso lo stesso errore dei rivali.

In poche parole, il look è senza dubbio degno di un film di fantascienza e denota anche un accurato studio in galleria del vento, ma definire bella la XJ 650 Turbo è un eufemismo...

Prestazioni migliori della Honda

Coreografica partenza fra le fiamme per la XJ 650 Turbo in questo disegno pubblicitario dei primi anni Ottanta

Per fortuna, le prestazioni promesse dalla Casa (potenza di 90 CV a 9.000 giri, coppia di 8,33 kgm a 7.000 giri e velocità massima di 210 km/h) sono superiori a quelle della CX Turbo e dovrebbero far passare in secondo piano l’estetica discutibile.

Dopo la presentazione di Tokyo, la XJ 650 Turbo viene commercializzata nei primi mesi del 1982, meno di un anno e mezzo dopo l’inizio del progetto. Negli USA mantiene nella sigla anche il nome Seca che contraddistingue la versione aspirata, mentre su tutti i mercati la veste cromatica è una sola: argento con fregi rossi.

In Italia viene messa in listino dall’importatore Belgarda a 8.800.000 lire, una cifra elevata se paragonata a quanto richiesto per la XJ 650 “normale” (che costa addirittura 3.600.000 lire in meno), ma tutto sommato a buon mercato rispetto alla Honda CX500 Turbo, che è in vendita addirittura a 9.750.000 lire.

Una differenza di prezzo così marcata fra i modelli sovralimentati e quanto offre il resto del mercato è solo parzialmente giustificata dalla loro esclusività tecnica. Dal punto di vista commerciale il maggior pregio di una moto turbocompressa dovrebbe essere quello di offrire prestazioni inavvicinabili anche dalla più performante delle maxi, ma con una media cilindrata.

I tecnici Yamaha assicurano infatti che a fronte di un incremento di peso complessivo del motore del 3%, sulla loro moto l’adozione di una turbina assicura un incremento delle prestazioni fra il 25 e il 30%. Inoltre, grazie al turbo migliorano i consumi perché si riducono le perdite di potenza dovute a una combustione imperfetta, mentre la maggior coppia a disposizione permette di ridurre il rapporto finale di trasmissione della moto.

Un ottimo compromesso

Su strada la XJ 650 Turbo si dimostra sorprendentemente facile da utilizzare nella fase “aspirata”, nonostante i quasi 250 kg di peso a vuoto. Comoda e maneggevole persino in città e nell’uso con il passeggero, equilibrata e stabile in frenata, ha un motore molto elastico che riprende nella marcia più alta senza grosse indecisioni anche a 1.500 giri ed ha una coppia consistente a partire dai 3.000 giri.

Oltre questo regime entra in azione il turbo, con una progressione sempre maggiore fra i 4.500-5.000 giri e picco massimo a 7.000.

Se si utilizza dolcemente il gas, la moto risponde sempre in maniera convincente, al punto che il tester di Motociclismo, nella prova pubblicata sul numero di gennaio del 1981 aveva scritto: “Il rapporto fra comfort, frenata, tenuta di strada, accelerazione, prestazioni e maneggevolezza è uno dei più riusciti che si possano trovare su una moto.”

Un’approvazione così incondizionata sembra presagire per la nuova Yamaha un lungo futuro ricco di successo non solo sul mercato italiano. Invece alla fine del 1983 è già tutto finito. La XJ 650 Turbo esce di produzione senza troppi rimpianti dopo essere stata costruita in circa 8.000 esemplari, venduti per di più a fatica in tutto il mondo nell’ultimo anno della sua commercializzazione. A parziale consolazione per la Casa dei tre diapason bisogna tuttavia ricordare che il “flop” coinvolge anche le altre Case giapponesi che hanno investito sulle moto sovralimentate. Alla Honda - che nel frattempo ha sostituito la CX500 Turbo con la CX650 Turbo - e Yamaha, si sono aggiunte anche la Suzuki, con la XN85 Turbo e la Kawasaki con la GPz 750 Turbo, ma nessuno di questi modelli è sopravvissuto oltre la metà degli anni Ottanta.

Caratteristiche tecniche

Motore: quattro cilindri in linea frontemarcia, quattro tempi, raffreddamento ad aria. Teste e cilindri in lega leggera con canne riportate in ghisa. Distribuzione a doppio albero a camme in testa con due valvole per cilindro (ø valvole aspirazione 33 mm, ø valvole di scarico 28 mm) . Alesaggio per corsa 63x52,4 mm. Cilindrata totale 653 cc. Rapporto di compressione 8,2:1. Diagramma di distribuzione 28°-48° aspirazione e 53°-23° scarico

Lubrificazione: a carter umido con pompa trocoidale di mandata e recupero. Capacità coppa: 2,5 litri di olio SAE 20W/40.

Alimentazione: quattro carburatori Mikuni BS 30 a depressione da 30 mm. Capacità serbatoio carburante 19,5 litri di cui 2,7 litri di riserva.

Accensione: elettronica transistorizzata Hitachi TID 14-08. Anticipo fisso 7°. Anticipo variabile 37,5° a 4.000 giri. Candele NGK BPR 8ES oppure ND W24 EPR-U. Impianto elettrico: batteria 12V-14Ah. Alternatore Hitachi LD119-08 da 266 W. Avviamento: motorino d’avviamento Nippodenso ND/ADB4D2.

Frizione: multidisco in bagno d’olio con comando a cavo. Cambio: a 5 rapporti. Valori interni: 2,187 in prima (35/16), 1,5 in seconda (30/20), 1,153 in terza (30/26), 0,933 in quarta (28/30) e 0,812 in quinta (26/32). Trasmissione: primaria ad ingranaggi, rapporto 1,672 (97/58); finale ad albero cardanico con rapporto 48/37x19/18x32/11. Rapporti totali di trasmissione: 14,554 in prima, 9,982 in seconda, 7,673 in terza, 6,209 in quarta e 5,403 in quinta.

Telaio: doppia culla chiusa in tubi d’acciaio. Inclinazione cannotto di sterzo 28°, avancorsa 116 mm.

Sospensioni: anteriore forcella oleopneumatica Kayaba con steli da 37 mm ed escursione di 140 mm con regolazione aria nella parte superiore dello stelo. Olio: 0,250 litri di SAE 10W/30 in ogni stelo. Posteriore forcellone oscillante in acciaio montato su cuscinetti a rulli, con due ammortizzatori idraulici Kayaba regolabili nel precarico molla, su cinque posizioni in compressione e su cinque in estensione. Escursione 91 mm.

Freni: anteriore a doppio disco da 267 mm (spessore 5 mm) con pinze a doppio pistoncino; posteriore a tamburo a camma semplice da 200 mm.

Ruote: cerchi in lega leggera Asahia quattro razze forate, anteriore 1.85-19 e posteriore 2.15-18. Pneumatici, anteriore 3.25V-19, posteriore 120/90-18.

Dimensioni (in mm) e peso: lunghezza massima 2.200, interasse 1.440, larghezza massima al manubrio 730, altezza massima 1.355, altezza sella 780, altezza pedane 330, luce a terra 135 mm. Peso a vuoto 247 kg (anteriore 116 kg, posteriore 131 kg).

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